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Un testo illuminante, come tutto cio' che esce dalla penna di Calasso, o, verrebbe da dire , come tutto cio' che l' immeggersi di Calasso nella letteratura riesca a restituirci : c'e da chiedersi se gli autori delle varie antologie scolastiche di letteratura posseggano un miliardesimo della sensibilita' dell' intuizione, dell' intelligenza e della passione di Calasso per la letterutura, o piuttosto loro scopo non troppo occulto sia quello di interpretare la letteratura univocalmente come solito sfogo per l' individuo frantumato e sfruttato dalla societa' moderna e, dunque , quale strumento di propaganda di idee politiche o, peggio, una specie di inculcazione di indici mentali di cio' che la letteratura dovrebbe trattare o essere nelle menti delle giovani generazioni ( vedi studenti delle Superiori). In pratica una categoria di temi " giusti " e " sbagliati ", degni o indegni, progressisti o reazionari, letteratura di serie A e di serie B.
Come i suoi altri dedicati a mitologie varie, questo libro di Calasso, col suo sapore a mal rimasticato, non meriterebbe commenti se non fosse che gli hanno pure dato il premio Bagutta. Vale allora la pena considerare come la letteratura italiana si sviluppi ormai tra editori che pubblicano se stessi e amici giurati che li premiano. Per fortuna, nel caso dell'argomento in questione, si puo' tornare a Max Müller e a Robert Graves (sempre che le nostre geniali case editrici non li mettano fuori catalogo).
Leggendo l’ultimo “romanzo” di Roberto Calasso, La letteratura e gli dèi, non si può rimanere indifferenti. Nel senso che Calasso è capace, in ogni circostanza, di aprire orizzonti nuovi al lettore anche più smaliziato. E non solo per la sua bravura di autore (scrittore), ma anche per un percorso interpretativo tutto suo (originale) che muove da una cultura profonda e curata. La quale è lampante (a volte compiaciuta) dopo poche pagine (e anche righe) di questo suo ultimo lavoro, le otto Weidenfeld Lectures tenute all’Università di Oxford nel maggio 2000. Il percorso che Calasso traccia, muove dalla considerazione dell’utopia («comunità buona») come pericolosa ossessione e degli dèi nella mitologia classica: parti fondanti della cultura occidentale. Da qui, attraverso un itinerario di incontro e di testimonianza che vede protagonisti gli dèi («ospiti fuggevoli della letteratura»), l’autore individua una via (tra le altre) che però è la Via (anche in un senso propriamente religioso.) Perché se Calasso da una parte tende a trovare il Luogo della Letteratura, e quindi degli dèi, dall’altra non manca in questa scelta di individuare un percorso (in avanti come all’indietro) scientifico (metafisico - ideologico?). Infatti, l’Arte è opera gnoseologica (Nietzsche), per cui conoscenza e simulazione non sono antagoniste ma complici. E la prima operazione, l’Operazione, è un’invenzione dalla quale tutto promana. Quest’invenzione è la Forma, che ci dice come sia necessario, anche nella piena libertà, tenere ben presenti «le leggi» (Proust) che regolano il fare della Letteratura, dopo aver abbandonato la legge per eccellenza, la Retorica (la testimonianza è data, alla morte di Hugo, da Mallarmé. Il poeta francese lungi dall’essere un avanguardista è piuttosto il primo testimone della rinata “giurisprudenza” letteraria). La Letteratura è l’unica verità, ben al di là della limitata realtà, fatta di convenzioni e di approssimazioni ra
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