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“Una donna e un bambino annaspano tra le onde grigie: nessun controllo, nessun silenzio, nessuna pace, solo violenza” (p. 26)
Linda, durante una giornata apparentemente normale, come tutte le altre al lavoro, ha un malore, perde i sensi sbattendo la testa, e si ritrova in una misteriosa grotta in una realtà parallela. Qui la pace, la tranquillità, la luce la avvolgono, facendo diventare quel posto sempre più familiare a tal punto che Linda inizia a vedere sulle pareti le storie di altri personaggi, sconosciuti fino a quel momento, a provarne le emozioni e dunque a vivere quelle scene. Tra queste persone ci sono una donna con i seni piccoli, un musicista, due corpi in un amplesso, un ragazzo dai capelli ricci e ovviamente tutte le loro storie. Linda si risveglia dopo pochi minuti in ospedale e capisce di aver sognato tutto quanto, ma quel viaggio l’ha profondamente segnata. Torna a fare la vita di sempre, ma dapprima casualmente, poi sempre meno, inizia ad incontrare uno ad uno i personaggi del sogno, conoscendo già le loro storie e i possibili scenari. Ad un primo istante di incredulità segue uno di consapevolezza e di fierezza, poi Linda sente il bisogno di raccontare ciò che è successo e, soprattutto, ciò che potrebbe succedere. E si ritrova a diventare parte fondamentale della storia di persone che non la conoscono, potendone modificare il destino. E tutto questo la porta verso un’ autoconsapevolezza delle sue potenzialità e verso la scoperta di un senso della vita finalizzato non a trovare risposte, ma a porsi altre domande, come se non ci fosse un limite alla volontà di conoscere.
“Mi accorsi che il loro volto non era definito, era sfuocato: una parete di pelle indistinta. Uno era il corpo di un ragazzo, quasi un bambino. Fecero il giro della vasca, prima di immergersi, notai, da dietro, il loro incedere lento e armonioso, dolce e delicato: non lo dimenticai, non l’avrei dimenticato, non potevo dimenticarlo“. (p. 44)
Libro estremamente curioso, che rompe un po’ gli schemi dai soliti romanzi, poiché l’ossimoro come figura retorica è presente nel suo DNA, partendo dal titolo, Leggera come l’abisso, in perfetta contraddizione. Pecoraro richiama continuamente elementi legati alla pace, alla tranquillità, ma scrive frasi brevissime (10 parole al massimo), creando un effetto di stop&go continuo. Lo chiamo “effetto stroboscopico” di scrittura, in cui l’autore cerca di descrivere una scena in movimento, con continui flash (frasi brevi), richiamando continuamente l’attenzione del lettore. E infine l’autoconsapevolezza: quando pensiamo che la vita sia finalizzata alla ricerca di risposte, ed invece scopriamo che il segreto è non fermarsi mai a porsi domande.
“Era come se tutti i miei pensieri si fossero srotolati, come se la matassa che era la mia anima, durante la notte, si fosse improvvisamente sciolta in rivoli di cotone liquido” (p. 115)
Recensione di Marco Cattaneo
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