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Vicini ormai al ventennale della morte di Giuseppe Lazzati, figura tra le più eminenti del laicato cattolico italiano del Novecento, è lecito supporre che non pochi studi cercheranno di ricordarne la vita e le opere. Tanto più che uno dei temi centrali della sua avventura umana, quello del rapporto tra fede e politica, torna a suscitare interrogativi e dibattiti e a porsi come una vera e propria questione che (almeno in Italia) sembra difficile fissare in un duraturo equilibrio.
Molto opportuna appare perciò, in questo quadro, la monumentale biografia scritta da due giovani studiosi, già conosciuti nell'ambito degli studi lazzatiani. Occorre subito dire che fare una biografia su Giuseppe Lazzati non era e non è impegno di poco conto, per la molteplicità dei piani nei quali il suo ingegno ebbe a dispiegarsi (religiosità, politica, giornalismo, cultura), per la diversità dei tempi in cui il suo apostolato fu messo alla prova (dal prefascismo agli anni ottanta) per la vastità degli impegni cui fu chiamato, spesso in contrasto con la sua più intima vocazione e, infine, per la varia natura dei suoi moltissimi scritti editi e inediti. A ciò si aggiunga il problema di un'inconsueta dispersione delle fonti archivistiche, parzialmente compensata dal pluriennale lavoro di inventariazione operato dall'Istituto per le scienze religiose di Bologna.
Ora, se pure non tutta la documentazione è ancora disponibile, i due autori hanno certamente superato la prova, offrendoci un quadro minuzioso, dettagliato e completo di una intera vita, seguendone passo passo le vicende dalla nascita fino al sofferto declino, con dovizia di riflessioni e citazioni. La prima parte del volume, scritta da Malpensa, si sofferma sul periodo finora meno scandagliato, quello della formazione di una personalità presto attratta dal problema della santità laicale, che il giovane Lazzati perfeziona fino all'assunzione del voto di celibato, condizione preliminare di una totale dedizione a Cristo. Qui conta l'adesione ai "Missionari della Regalità di Cristo", voluti da padre Gemelli, che egli inizialmente riconosce come guida anche nello scegliere il suo percorso di studi all'Università cattolica, per poi staccarsene, nel '38, con la fondazione dei "Milites Christi", sodalizio da lui stesso creato. Altre milizie sta approntando il duce, ma Lazzati, non più in sintonia con l'adesione di padre Gemelli alle avventure del regime, se ne stacca per rimarcare il primato della dimensione religiosa. Lo stesso primato che già aveva affermato alla guida della Giac milanese, dal 1932.
Alla soglia dei trent'anni (e qui è Parola a continuare la ricerca), il giovane, che pure ha pagato i suoi tributi al regime, avverte l'irriducibile distanza tra le sue più intime convinzioni e l'apparato teorico-dottrinario del fascismo, cui negherà ogni ulteriore assenso nel '43, quando, ufficiale degli alpini, preferirà la reclusione in un campo di concentramento alla milizia repubblichina, rifiutando poi tutti gli aiuti di Gemelli e del cardinal Schuster, volti a procurargli una individuale liberazione. Tornato in Italia nel '45, viene chiamato da Dossetti a far parte della Dc, per cui è deputato alla Costituente e nella prima legislatura repubblicana. Ma la necessità di far argine al comunismo non è motivo sufficiente per trattenerlo in una dimensione dell'apostolato laico che non sente sua, anche perché soffre per la pesante strumentalizzazione in chiave politica delle organizzazioni cattoliche. La sua vera vocazione è ancora la formazione culturale e spirituale cui, dunque, si dedica come ordinario, poi preside di facoltà, infine rettore dell'Università cattolica in anni difficilissimi, ed essendo nel contempo direttore di "L'Italia", fondatore di "Cronache sociali", guida dei laureati cattolici.
Mentre la stagione del Concilio sembra restituirgli ragioni tanto testardamente professate, gli ultimi anni della vita lo vedono nuovamente costretto a un amaro confronto con i seguaci di don Giussani, che tendono a piegare la pratica dell'apostolato cattolico all'integralismo religioso. Per lui, invece, l'importanza primaria della politica nella vita del cristiano non deve mai mettere a rischio la distinzione irrinunciabile tra "azione cattolica" e "azione politica". Il cristiano non fa politica in quanto credente ma perché credente. Ed è questo il filo rosso che lega le molteplici attività di Lazzati, la luce che illumina le facce di quel diamante (per usare una metafora del cardinal Martini) che fu la sua vita, consumata nell'attesa ("Sentinella, quanto resta della notte?") di un giorno che non gli fu dato di vedere.
Sergio Soave
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