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"Guardate nei vostri libri di storia per vedere chi ha costruito l'abbazia di Westminster, chi ha costruito Santa Sofia a Costantinopoli, e vi diranno Enrico III, l'imperatore Giustiniano. È veramente così? O non sono stati invece uomini come voi e me, artigiani che non hanno lasciato nomi dietro di sé, non hanno lasciato altro che il loro lavoro?". In questa affermazione, che riecheggerà nelle Domande di un lettore operaio di Bertold Brecht, stava il legame tra i due fronti di impegno di Willian Morris, quello politico e quello artistico. Nei quattro scritti raccolti in questo volume, tratti da articoli e conferenze che ebbero luogo nell'ultimo quarto dell'Ottocento (accompagnati da Ritratto di Morris di Edward P. Thompson), Morris, pittore, poeta, designer, pioniere del socialismo, esprime una forte critica alla società moderna e alla condizione delle arti, postulando l'urgenza di una rivoluzione sociale e nel campo delle arti visive, che riporti al centro l'individuo, la sua creatività, la sua storia, la sua memoria. L'elaborazione dei pensieri di Karl Marx, da una parte, e del maestro John Ruskin e di quanti in età vittoriana presero parte al dibattito sul rapporto tra arte e rivoluzione industriale, dall'altra, portò Morris a denunciare la deriva della produzione artistica e architettonica dell'epoca, caratterizzata da "copiose conoscenze e modeste realizzazioni", la massificazione della produzione industriale, la condizione di sfruttamento e di alienazione dei lavoratori, il sistema del profitto colpevole di aver ucciso l'arte popolare e la decorazione, capace di dare alle persone "il piacere delle cose che devono necessariamente usare" e di quelle che "devono necessariamente fare". L'auspicio, eletta l'arte a piano di rivelazione della dignità umana, è che si possa conquistare "una vita nella quale la percezione e la creazione della bellezza, cioè il godimento di un piacere vero, siano ritenute necessarie per l'uomo quanto il suo pane quotidiano".
Paola Elena Boccalatte
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