«Noi sappiamo che la ragione non esaurisce la vita e nemmeno il meglio della vita [...] Ma chiediamo che non si dimentichi che la ragione è per l'umanità la condizione rigorosamente indispensabile [...] E il problema stesso di sapere ciò che spetta alla ragione e ciò che non spetta alla ragione, è solo attraverso il lavoro della ragione che possiamo porcelo». Ogni intrapresa storica che s'instauri nel segno di un'abiura ad un tale lavoro si disporrà sempre a realizzare un cattivo servizio all'umanità: qualsivoglia operazione umanitaria s'inauguri senza (o addirittura contro) la "salute" della ragione non farà che porre le basi per la più mostruosa delle pratiche disumanizzanti. Il programma intenzionale di pensare a "sanificare" l'umanità a condizione di una previa rinuncia ad un tale lavoro della ragione lo si può sentire dichiarato anche "in nome" della ragione - la storia (quella non troppo lontana nel passato) ce lo attesta come déjà vu. "L'incontemporaneo" C. Péguy ce ne dà testimonianza (a sue spese) con testi non meno accesi della vita con cui ne ha esperito il senso. Due di essi, che qui pubblichiamo in traduzione italiana (Vraiment vrai e De la raison), sono occasione preziosa - ad ogni genere di lettore - per recepire nella propria esperienza l'urgenza di un simile lavoro, per scoprire la pertinenza al nostro vissuto presente di quella testimonianza e, dunque, per intraprendere (o riprendere) quel lavoro sullo strumento del pensiero sul cui terreno - solo!? - possono edificarsi iniziative, relazioni, soggetti nel segno storico del "veramente vero". Ne va della "salute" universale dell'umano dentro le pur brutte criticità della storia (personale e sociale che sia): «Noi non difendiamo la ragione contro le altre manifestazioni della vita [...] ma contro le demenze, contro le pazzie. Noi chiediamo che non si faccia credere al popolo che si parli in nome della ragione quando si usano mezzi che non sono i mezzi della ragione».
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