Da alcuni anni i prezzi dei prodotti alimentari sono schizzati alle stelle, con un conseguente aumento di investimenti nel settore agricolo, che è tornato a essere "sexy" (secondo l'espressione di un funzionario della Banca mondiale). Questo può rappresentare un'opportunità, ma non ha mancato di causare problemi di portata considerevole. Nel 2008 l'improvviso aumento dei prezzi ha avuto effetti nefasti per gli strati poveri della popolazione. Allora si puntò l'indice contro la speculazione e le politiche che sostenevano i biocarburanti, con l'idea che l'aumento fosse frutto di una congiuntura temporanea. Più recentemente si è iniziato a considerare la crisi alimentare come un fenomeno strutturale, di cui un aspetto preoccupante è il così detto land grabbing, cioè l'accaparramento di ampie porzioni di terreno nei paesi in via di sviluppo. Questo fenomeno è stato descritto come una nuova forma di colonialismo, dove grandi investitori, con il beneplacito dei governi locali corrotti e l'appoggio delle agenzie internazionali, hanno avviato una grande campagna per assicurarsi il controllo delle terre e dell'acqua, sottraendole ai contadini di Africa e America Latina. Ciò è quanto racconta anche Stefano Liberti in questo suo libro. Affidandosi allo strumento del reportage, Liberti descrive come sono state espropriate le terre di villaggio in Tanzania, per affidarle ad aziende che si occupano di biocarburanti; come l'Etiopia è diventata una produttrice di generi ortofrutticoli da destinare ai paesi del Golfo, concedendo ampie porzioni di territorio ad aziende strettamente legate a Emirati e Arabia Saudita; come da molti anni in Brasile si stanno sottraendo le terre agli indigeni Guaranì, per destinarle alla monocultura della soia. Tuttavia, l'autore, sospendendo la facile rappresentazione di buoni e cattivi, ha cercato di capire le ragioni delle varie parti coinvolte, andando a interrogare anche i grandi investitori e le agenzie internazionali. Nel libro indaga le ragioni dei paesi del Golfo, il cui territorio desertico non permette di garantire una produzione interna sufficiente; descrive il punto di vista degli agricoltori del Midwest, per i quali i biocarburanti hanno cambiato le sorti delle loro aziende; racconta le storie dei fazenderos, che hanno contribuito al boom economico del Brasile. Ne emerge così una situazione con molte sfaccettature, in cui, secondo Liberti, a scontrarsi sono due modelli di sviluppo tra loro difficilmente conciliabili. Il primo, difeso da organizzazioni di contadini come via campesina, rivendica l'autonomia alimentare e promuove l'agricoltura di piccola scala. L'altro, sostenuto dagli investitori internazionali e dalla Banca mondiale, sostiene la necessità di aprire l'agricoltura al mercato, avviando una nuova rivoluzione verde che sia in grado si far uscire le popolazioni povere dalla miseria di un'economia di sussistenza. In tal modo, secondo quest'ultimi, si possono attrarre investimenti per modernizzare le campagne, aumentare i raccolti e creare ricchezza. I primi, invece, denunciano i danni sociali e ambientali prodotti dai grandi latifondi, sottolineando i gravi pericoli che si creano quando i generi alimentari diventano delle commodities scambiate sui mercati internazionali, le cui fluttuazioni hanno ricadute disastrose per le popolazioni locali. L'autore sostiene la necessità di un approccio non ideologico al problema, evitando di schierarsi a spada tratta in uno dei due estremi. Tuttavia, nel libro non sono molte le testimonianze in cui emerge una posizione più distaccata. Una di queste è di Abdallah Mkindi, un responsabile di una ong della Tanzania, il quale ha documentato i processi di espropriazione delle terre del suo paese, ma che ricorda anche i problemi creati dalla caduta dei prezzi dei tradizionali prodotti agricoli destinati all'esportazione. Un'altra di queste voci è quella di Olivier De Schutter, relatore speciale sul diritto all'alimentazione dell'Onu, il quale sostiene che il problema centrale è decidere a chi affidare la terra: se ai gruppi internazionali, che portano investimenti immediati, o ai contadini, attraverso adeguate riforme agrarie. Queste testimonianze aprono a considerazioni di più ampio respiro intorno al land grabbing, senza le quali le vivide storie raccontate da Liberti sarebbero molto meno efficaci nel restituire, in tutte le sue implicazioni, un fenomeno così complesso. La corsa al controllo di terre e acqua, infatti, ha come sfondo una più generale crisi legata alla distribuzione e all'uso delle risorse, che sempre più appaiono limitate. Senza assumere toni drammatici, questo libro spinge a un ripensamento dell'attuale modello di sviluppo, che per molti versi appare ormai inadeguato. Emanuel Giannotti
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