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Solitamente la poesia si costruisce pensando preliminarmente a una rete di mediazioni che passano attraverso il linguaggio: prima che "transiti" sull'oggetto (sui "contenuti"), il linguaggio viene sottoposto a una serie di inchieste implicite tendenti a dimostrare che in questo genere di scrittura il linguaggio come fine e il linguaggio come mezzo sono due versanti distinti che l'autore deve avere ben presenti e che deve riuscire a conciliare. A meno che l'intensità e la preminenza dei contenuti non assumano un valore insolitamente alto e coinvolgente, tanto da indurre l'autore a scavalcare quelle mediazioni, a rimuovere ogni forma di ambiguità e a puntare direttamente all'obiettivo dell'informazione. Mi sembra che sia questo il caso di Ito Ruscigni, approdato qui a una tappa ulteriore, e forse particolarmente ricca e trasparente, del suo lavoro ormai di lunga portata. Il libro è costruito, anche in questo caso insolitamente, su una struttura per così dire sinottica che alterna i versi alle prose filologiche (e filosofiche), al punto che talora, per intenzionalità autoriale, i versi quasi cedono il passo all'autorevolezza sapienziale e all'estensione stessa delle parti esplicative. Ruscigni esplora e mobilita con assoluta e collaudata competenza un territorio di saperi pressoché estraneo ai referenti della nostra poesia odierna. La metafora di questa sapienza è in pochi versi molto schietti: "Il nostro / è un vino prezioso / da non versare / in calici impugnati / da mani avide e frettolose". Il campo di applicazione dei saperi è dotato di un'ampiezza seducente: da una tematica eros/dàimon che talvolta ("Timor panico che spaura") sembra ricordare l'area dei poeti dell'antico Egeo, a situazioni ben più complesse all'interno delle quali sapienza antica e sapienza cristiana sono spesso contestualizzate e miti e riti di ogni latitudine sembrano trovare fondamenti unificanti. Gesti quotidiani, emozioni, piccoli eventi universali: tutto viene ritualizzato, o per meglio dire ricondotto a principi interpretativi fondanti. C'è un fascino profondo in questo incontro tra il verso e la sapienza, e consiste nell'itinerario all'interno del quale l'autore ci conduce, contemporaneamente fondamento della storia e superamento della storia, superficie dell'istante e profondità dell'immutabile. Meditare su questo lavoro aiuta molto, anche nel senso di indurci a evitare giudizi affrettati sull'essenza profonda e archetipica dell'umano e delle sue fondamentali "illusioni".
Giorgio Luzzi
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