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Il laboratorio borghese. Scienza e politica nella Germania dell'Ottocento
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1987
8 luglio 1987
426 p.
9788815014702

Voce della critica


recensione di Cervelli, I., L'Indice 1988, n. 4

La parabola secolare della "scienza tedesca" delineata da Schiera consiste in un progressivo distacco dall'approccio politico-riformatore e umanistico di Wilhelm von Humboldt a favore di una scienza sempre più deideologizzata e depoliticizzata col passare del tempo: questo in virtù dell'emergere e dell'affermarsi in essa di potenzialità di applicazione tecnica funzionali ai sistemi politici e statuali bismarckiano prima e guglielmino poi. Lo svolgimento a partire da Humboldt viene ad identificarsi di fatto, nella prospettiva di Schiera, nel distacco e nella cesura rispetto ad Humboldt. Di qui una osmosi, per così dire, fra scienza e organizzazione della stessa da un lato e sistema di potere e di dominio dall'altro, che fa della scienza stessa una struttura portante e un aspetto rappresentativo e qualificante della politica.
La dimostrazione, più che ricostruzione, è resa possibile a Schiera dall'assunzione di particolari parametri analitici che è necessario richiamare. Del resto lo stesso punto di partenza humboldtiano sembra legittimare l'impianto metodologico proprio al lavoro di Schiera, certamente di tipo dottrinario, e quindi provvisto di voluta sistematicità critica ed interpretativa.
Scienza e politica sono nel lavoro di Schiera due strutture categoriali (che è appunto altra cosa dal dire due concetti) agenti e interagenti nel campo della 'Verfassung', della "costituzione, intesa come lo spazio in cui acquistano valore e significato politico - prima ancora che giuridico - i fattori costitutivi di ogni processo storico determinato" (pp. 7-8): la "scienza tedesca", perciò, come "vero e proprio fattore costituzionale" (p. 264), come "struttura politico-costituzionale di primissimo rango" (p. 307), come "vera e propria struttura costituzionale" (pp. 55, 64). Sotto questo profilo, per un'età che non è più quella dello stato di polizia, e con assoluta consapevolezza di ciò (notevoli puntualizzazioni a pp. 30e 34, p. es.), questo "Laboratorio borghese" presuppone e porta a compimento l'intero - a tutt'oggi - percorso germanistico di Schiera, a partire dallo studio sul cameralismo e l'assolutismo tedesco di vent'anni fa, contrassegnato da opzioni storiografiche e culturali (Hintze, Weber, Brunner, Böckenförde, Schmitt etc.) mirate, accompagnato da interessi di supporto per la morfologia dello stato moderno in generale o per la tematica del disciplinamento sociale, tutt'altro che privo di allargamenti comparativi da una Germania per lo più prussiano-centrica a una geo-politica in senso storico complessivamente austro-tedesca, corredato da un gusto funzionale per la semantica storico-concettuale.
Partire da Humboldt non riflette solo l'evidenza che ogni ricerca sulla scienza - e sull'università - nella Germania dell'Ottocento è opportuno prenda le mosse dal momento magico della Berlino 1809/10. Sta anche a suggerire, attraverso la questione del nesso fra scienza università e stato, e quindi implicitamente della collocazione di una riforma universitaria e dell'istruzione nello spettro complessivo di riforme attuate o avviate (Stein, Hardenberg ecc.), proprio la qualità "costituzionale" di una politica della scienza, e, se si vuole, con una giustificabile strizzatina d'occhio attualizzante, della scienza e non del sapere.
Per quanto attiene all'ideale humboldtiano, e non soltanto humboldtiano della 'Bildung' (educazione, formazione, ma, forse, espressione al limite della intraducibilità per la ricchezza di sfumature che la contraddistinguono) Schiera riesce a darci di fatto le oscillazioni di significato: "elemento costitutivo, segno di riconoscimento e motivo di legittimazione della borghesia tedesca in formazione" (p. 24), dove la borghesia è intesa secondo un punto di vista sociale che diverrà col tempo socioeconomico. Ma dove l'università humboldtiana ha come obiettivo la formazione di cittadini, oltre che la produzione di scienza (p. 41), la 'Bildung' non può considerarsi come attributo di una classe sociale emergente. Essa si configura piuttosto alla maniera secondo cui la connota Hans Rosenberg: "la 'Bildung' mise l'accento soprattutto sulla spiritualità e la delicatezza dei sentimenti. Essa spingeva l'uomo a cercare la felicità dentro di sé, orientandone la vita intera verso un'armoniosa funzione di elevazione spirituale, raffinatezza emotiva e perfezione mentale e morale dell'individuo". Sembra tornare il collegamento, più che il passaggio, fra educazione soggettiva e scienza oggettiva, tanto per riprendere la fraseologia humboldtiana, il confine fra scienza e sapere ha la stessa indefinitezza che quello fra gruppo o classe sociale e persona singola. Ma su questo piano la matrice humboldtiana non coincide in tutto e per tutto con una nozione di scienza in quanto fattore o struttura Costituzionale.
In generale, è il 'Vormärz', cioè il periodo che precede il biennio rivoluzionario 1848/49, a risultare inevitabilmente marginale nel lavoro di Schiera che viene così ad incentrarsi sul secondo Ottocento e in particolare sull'età guglielmina. Il discorso si fa nuovamente metodologico: il nesso strutturale-categoriale fra costituzione e scienza, per poter dispiegare tutta la sua effettiva potenzialità di comprensione e spiegazione dei processi reali, necessita della mediazione di un modulo classificatorio e descrittivo che Schiera coglie nell'idea di 'Realpolitik' (pp. 50-51), vale a dire nell'attitudine realistica verso la politica, "strategia politica basata sul calcolo". Il carattere pervasivo che la scienza assume fino a consentire che la politica della scienza e la scienza stessa in sé diventino fattore costituzionale, presuppone l'affermazione diffusa della 'Realpolitik', il tramonto del tipo del "professore politico". Dati ricavabili da biografie individuali di protagonisti potrebbero essere assunti a verifica di questo aspetto importante del lavoro di Schiera, relativo al passaggio del professore politico al professore "scienziato", in una scienza divenuta nel frattempo struttura o fattore politico-costituzionale.
Costituzione, dunque, politica realistica, scienza tedesca: il Vormäz non può trovare collocazione in questo paradigma, non solo per ovvie ragioni cronologiche e fattuali, ma anche per motivi più intrinseci alla metodologia dottrinario-sistematica di Schiera, efficace ed idonea alla messa a fuoco di assetti politico-sociali e stadi di sviluppo economico venuti a maturazione, non altrettanto per quella di fasi genetiche di processi ancora morfologicamente indistinti e aperti ad esiti diversi. Vale la pena, a questo proposito, riprendere la definizione di 'Verfassung' più sopra citata: "costituzione, intesa come lo spazio in cui acquistano valore e significato politico - prima ancora che giuridico - i fattori costitutivi di ogni processo storico determinato". Rimangono al di fuori di una formulazione del genere i periodi per i quali lo "spazio" in questione non presenta contorni definiti o addirittura nessun contorno, i periodi per i quali i "fattori costitutivi" di un processo storico determinato non hanno acquistato alcun "significato politico". E oltre tutto non si sa bene quale significato politico, nel senso che Schiera sembra dare a questa espressione, cioè di globale, strutturale costituzionalità, questi periodi potranno mai acquistare.
L'approccio metodologico di Schiera non può che scontare l'evento - l'esito cui il biennio rivoluzionario pervenne, il tipo di soluzione data nel 1866 in Prussia al conflitto costituzionale ecc. - escludere le possibili alternative, e sottovalutare che le modalità dell'evento stesso furono di un determinato tipo a seguito di lotte, conflitti, confronti. I vinti e i vincitori, in altre parole, devono già esserci - Rotteck è considerato un "perdente", ricorda a un certo punto Schiera, non solo in relazione al 1848 ma anche al 1870/71: è vero, ma perché perse, e cosa, al di là della sconfitta, resta di lui e dei tanti altri "perdenti" come lui? - lo "spazio" deve essere definito. È a questo punto che il metodo di Schiera appare in tutta la sua fecondità, i risultati cui egli perviene indispensabili per l'intelligenza più completa di realtà storiche, specie sul medio-lungo periodo.
Dovrebbe risultare chiaro, perché Schiera non ci dà, per esempio, una storia delle università tedesche, con i suoi risvolti anche quantitativi, poniamo relativi alla docenza o all'utenza studentesca, ma piuttosto una storia delle dislocazioni disciplinari legate alla affermazione delle scienze della società e delle scienze dello stato, della statistica, dell'economia politica del diritto amministrativo, delle discipline tecnico-scientifiche. Peraltro nessuno di questi settori è pensato da Schiera, e quindi valutato, in ragione della sua specificità accademico-disciplinare, in termini di allargamento degli orizzonti del sapere. Questa ovvia dimensione è piuttosto proiettata al livello di sintesi della "scienza tedesca"; della quale viene privilegiata criticamente la congruità funzionale con l'industrializzazione in ambito economico e con l'azione politica di governo in ambito statuale ed organizzativo-istituzionale. La statistica e, soprattutto, il diritto amministrativo non sono semplicemente materie da insegnare e da studiare, ma modi di essere e strumenti della costruzione materiale, politica, d'una società e d'uno stato da parte dei detentori del potere. Il "dilettante" Burckhardt, che avrebbe già considerato inconcepibile un "professore politico", figurarsi se avrebbe potuto convivere nella stessa università di Berlino con un qualsiasi professore professionalmente "scienziato" del tipo di quello che lo studio di Schiera ci fa intravvedere! Fu forse per questo che rifiutò di lasciare nel 1872 la sua Basilea.
Dovrebbe anche risultare chiaro perché sia Althoff, il "grande tessitore della politica scientifica tedesca tra i due secoli" (p. 261), e non Humboldt, l'autentico protagonista del libro di Schiera. Questo non avviene perché, a quanto sembra, Schiera abbia inteso darci una ricerca su Althoff, ma perché per ragioni intrinseche alla sua metodologia e al suo apparato categoriale, ancor prima che ai contenuti del suo lavoro, era inevitabile che questo personaggio dovesse assurgere un po' a chiave di volta dell'intera esposizione. È in Althoff che le specializzazioni scientifiche - oggi si potrebbe dire gli specialismi, o le competenze specialistiche di scienze finalizzate ed applicate - vengono comunque a far parte di un sistema integrato della scienza tedesca. E soprattutto è in Althoff che vengono a convergere i due indirizzi per un verso attinenti al nesso scienza-Stato, esemplificato a più riprese da Schiera ma trasparente in particolar modo nella delineazione del diritto amministrativo, e per l'altro verso al nesso scienza-industria (pp. 263-264).
Fra i due secoli, la "Sammlungspolitik" di Miquel e la "tela di ragno" (p. 266) intessuta dalla politica della scienza di Althoff sembrano compattare la Germania guglielmina in maniera tale che i dissensi sono o umorali o affidati al tardivo rendiconto memorialistico. Wilamowitz sarà esplicito nel ricordare la determinazione con cui Althoff lo volle a Berlino, e scenderà in particolari di questa natura: "dovetti anche sbrigare piccoli incarichi per conto di Althoff; ad esempio, scrivere una poesia di auguri per il Ministro delle finanze, Miquel. Sperava molto che riuscissi ad allacciare relazioni nella cerchia dell'imperatore e che quindi potessi esercitare proficuamente la mia influenza, ma in questo si sbagliava. Mi sarei ridotto a fare il cortigiano e non ero assolutamente disposto a sacrificare il mio tempo e la mia indipendenza". Non tacerà anche taluni suoi contrasti di vedute con Althoff, ma fu, come Harnack, un uomo di Althoff, e lo riconoscerà apertamente e con forza nelle memorie.
Nella conferenza sulla scuola avviata da Althoff nel 1900 "fondamentalmente allo scopo di aprite l'università ai maturandi dell'istituto tecnico" ("era necessario - commenta Wilamowitz - ma a condizione che la preparazione scolastica su base matematico-scientifica fornisse quella generale preparazione culturale che il liceo classico dava da sempre") furono il classicista Wilamowitz e il teologo Harnack a salvate il greco. "Senza il greco - scrive Wilamowitz - si sacrifica la 'Bildung' tedesca, a cui non solo noi Tedeschi dobbiamo lo slancio spirituale del XIX secolo". Ma una nota di Wilamowitz a corredo di questa proposizione fa capire che il "laboratorio borghese" non si riannodava più alla sua peraltro incerta matrice humboldtiana. Chissà, perché ciò potesse avvenire non avrebbe dovuto essere più solo borghese: "contrarie al greco erano quelle persone delle classi superiori fornite di una cultura superficiale che a scuola non avevano imparato niente e nella loro ignoranza si credevano superiori agli altri, altezzosi, cinici e persino bigotti. Oltre a loro c'erano quei sazi borghesi che riconoscono solo il guadagno e l'adorazione del dio Ventre. Quelli del proletariato, affamati di cultura, che in verità sono sprecati per la socialdemocrazia, ragionavano in modo diverso. Un mio amico, il rettore Finsler di Berna, trovò nei socialdemocratici un appoggio a favore del greco, contro il radicalismo borghese, e quando a Olten tenni una conferenza su Socrate, l'organo ufficiale della socialdemocrazia espresse il suo rincrescimento che si sapesse così poco dei Greci".

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