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Il testo curato da Le Goff è un classico indispensabile per comprendere a fondo la vita nel Medioevo attraverso le figure principali che la gerarchia sociale dell'epoca aveva come protagoniste. Ogni saggio approfondisce una di esse con dovizia di documentazione e con chiarezza lessicale. Il testo è molto utile a fini didattici e al contempo costituisce una piacevolissima lettura
Il testo è una raccolta di saggi, scritti da vari autori, non tutti dello stesso livello in verità, ma il risultato è comunque positivo. Un libro che si fa apprezzare sia da addetti ai lavori, quali studenti e studiosi di Storia Medievale, sia da semplici appassionati.
Sono un appassionato del periodo medioevale, non mi ritengo un esperto, leggo questi libri principalmente per soddisfare la mia curiosità sulla vita che si svolgeva a quei tempi. Devo dire che sono capitato nel libro giusto poiché questo testo, oltre che essere stato scritto da storici autorevoli in materia, delinea in maniera particolareggiata il profilo di ciascuna figura appartenente alla piramide sociale medioevale. Lo consiglio vivamente!
Recensioni
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(recensione pubblicata per l'edizione del 1987)
recensione di Delogu, P., L'Indice 1988, n. 4
Per poter correttamente parlare di "uomo medievale" occorrerebbe considerare il Medio Evo come una struttura culturale unitaria in cui fosse possibile individuare un certo numero di caratteri permanenti che messi insieme costituissero un archetipo astratto, in grado di trovar riscontro sistematico nei fenomeni e nei fatti. Per arrivare a questo bisognerebbe almeno dare per scontato che nella sua lunga durata cronologica, il Medio Evo restasse sostanzialmente simile a sé, come in modo immaginoso suggeriva la tradizione romantica e post-romantica, ma come oggi si sa che non fu. Il volume che dall'uomo medievale si intitola non si propone però se non in minima parte di individuare un'organicità culturale del Medio Evo. Jacques Le Goff, che dell'opera è curatore ed introduttore, accennando ai motivi per cui ritiene che sia comunque possibile parlare di "uomo medievale" ne presenta due: da un lato le concezioni religiose circa la natura ed il ruolo dell'uomo in rapporto con le realtà assolute del divino sarebbero state coerenti e costanti nel Medio Evo, dando sostanza dunque almeno ad un concetto dottrinale medievale di uomo; dall'altro il sistema ideologico-culturale e le raffigurazioni dell'immaginario collettivo avrebbero prodotto condizioni uniformi entro cui gli uomini del Medio Evo dovettero modellare il loro comportamento, ed è perciò possibile ammettere una sostanziale unità delle strutture psicologiche di base dell'uomo medievale.
Questi temi, però, non hanno sviluppo nel volume e lo stesso Le Goff, muovendosi su più piani, riconduce poi l'inchiesta sull'uomo medievale all'esposizione delle possibilità di vita, delle prese di coscienza e delle aspirazioni caratteristiche di varie categorie sociali in un periodo press'a poco compreso fra l'XI ed il XV secolo. La descrizione dell'uomo medievale viene dunque stemperata in dieci "tipi sociali" in versione medievale, di cui vengono ricostruiti appunto il modo di vita, le ideologie di gruppo, l'eco nella coscienza collettiva. La scelta dei tipi non si pone peraltro come esaustiva della tipologia sociale, in quanto trascura consapevolmente molte ulteriori possibilità di "uomo medievale", n‚ aspira a presentarsi come modello globale della società medievale. Essa è piuttosto il frutto di un contemperamento tra esigenze sistematiche ed esigenze empiriche, come risulta dalla stessa presentazione fattane da Le Goff. In parte infatti la scelta si richiama alle teorie medievali sulla struttura della società (tripartita in oranti, combattenti e produttori); in parte segue le innovazioni indotte dall'urbanizzazione a metà del Medio Evo (il cittadino; il mercante), in parte sembra occasionata semplicemente dall'esistenza di studiosi italiani, o comunque noti al pubblico italiano, che hanno rivolto la loro attenzione a fenomeni sociali facilmente ipostatizzabili in condizioni di vita peculiari di un gruppo più o meno determinato: così per esempio l'intellettuale o l'emarginato.
Dunque è bene non cercare nel libro n‚ un'indagine teorica sull'uomo medievale, n‚ un sistema, sociologico o ideologico, della società medievale. Si tratta invece di una serie di brillanti e suggestive rievocazioni di condizioni sociali significative, differenziate anche dalle consuetudini storiografiche proprie ai diversi autori. Così Giovanni Miccoli si è impegnato nella ricostruzione di quella particolare ideologia della vita religiosa che considerava lo stato monastico come forma perfetta di vita cristiana, assai più che nella descrizione della vita o del tipo umano del monaco, e tracciando la formazione e lo sviluppo delle istituzioni monastiche si è preoccupato soprattutto di mettere in risalto l'ambiguità morale della condizione monastica, divisa tra separazione dal mondo e collaborazione con esso, causa non ultima del declino del monachesimo medievale. Anche Franco Cardini ha dato spazio agli atteggiamenti mentali ed alle elaborazioni ideologiche maturati intorno alla figura del guerriero, mettendo in evidenza la tensione fra le originarie intuizioni primordiali e lo sforzo di portare le armi e l'esercizio della violenza nell'ambito dell'etica cristiana. Rilevante nel suo saggio l'attenzione all'evoluzione degli atteggiamenti culturali nel tempo, che sfaccetta e arricchisce l'identificazione di un tipo medievale di guerriero.
Giovanni Cherubini ha impostato invece in altro modo la sua ricostruzione della umanità rurale; le ideologie sul ruolo dei contadini, provenienti peraltro da altri ceti, perché i contadini medievali non hanno voce nelle fonti, o la hanno flebile e indistinta, sono infatti da lui fondate su un quadro delle condizioni di vita contadina che tiene presenti concreti aspetti della demografia dell'abitato, delle tecniche colturali, dei raggruppamenti sociali e dei rapporti giuridici in un forte impegno di ricostruire i tratti oggettivi della classe. Cherubini mette inoltre in rilievo un'altra difficoltà della tipizzazione: quella di ridurre ad unità la grande varietà di condizioni geografiche e sociali entro cui vissero i contadini europei. Scrupolo che manca del tutto nel saggio di Jacques Rossiaud dedicato alla vita dei cittadini. La misura della diversità temporale e spaziale vi è infatti annullata nella descrizione di condizionamenti ambientali e di atteggiamenti mentali presentati come universalmente validi per i cittadini in Europa dal XIII al XV secolo; ne risulta un quadro scandito su grandi categorizzazioni sociologiche, giocato sulla contrapposizione a forti tinte dei pregi e degli orrori della vita cittadina e nell'insieme piuttosto divertente.
Pochissimo preoccupato di una ricostruzione sociologica è invece il contributo di Maria Teresa Fumagalli Beonio Brocchieri, che individua il tipo dell'intellettuale medievale nel professore universitario di filosofia. Appena si esce dalle categorizzazioni suggerite dalla coscienza o dal sistema economico-sociale medievale, l'individuazione dei tipi d'uomo risente dunque fortemente delle ideologie, anche professionali, degli autori; personalmente non vedo perché giudici, notai, personale delle corti e pubblicisti debbano essere giudicati meno rappresentativi del tipo d'uomo che guadagnava da vivere nel Medio Evo con l'opera del suo ingegno.
Difficilmente riconducibile ad una articolazione oggettiva della società medievale è anche l'artista; ma in questo caso Enrico Castelnuovo si impegna proprio a mostrare il lento emergere nella coscienza sociale non tanto di una categoria professionale, quanto di una condizione personale riconosciuta e stimata: quella del creatore di opere d'arte distinto dall'artigiano proprio per la diversa natura intrinseca dei suoi prodotti e via via tratto fuori dall'anonimato e fatto oggetto di onori e ammirazione per il suo genio.
Sposa invece completamente la soluzione di ricostruire l'ideologia sociale dell'epoca piuttosto che le condizioni di vita delle persone Aron Gurevic a proposito del mercante, individuando nell'opera del predicatore francescano Bertoldo di Ratisbona l'espressione del momento in cui i mestieri umani diversi dall'agricoltura, tra cui il commercio, ricevettero la piena legittimazione etica, superando i sospetti e le condanne che avevano circondato l'opera del mercante nei secoli precedenti.
Si avvertono tracce di femminismo non contestualizzato nel contributo di Cristine Klapisch-Zuber sulla donna e la famiglia (singolare rottura dello schema compositivo del volume, questa categorizzazione per sesso, rispetto agli altri saggi che basandosi su un criterio socio-economico riguardavano evidentemente sia monaci che monache, sia contadini che contadine). La Klapisch deplora i vincoli di comportamento che nelle società cittadine borghesi tardo-medievali venivano posti alle donne e sembra considerare un inqualificabile oltraggio alla natura femminile il fatto che ci si aspettasse, allora, che le donne fossero assennate e continenti. Ritorni in termini di autorevolezza, sicurezza e prestigio sociale sono svalutati o considerati imposizioni maschiliste. Mal riconducibili a categorie sociali definite sono anche i due contributi di André Vauchez sul santo e di Bronislaw Geremek sull'emarginato. Il primo esamina la collocazione sociale dell'individuo che viene riconosciuto santo - mutevole nel corso del Medio Evo, così come mutevoli furono i caratteri della santità - ma anche l'uso sociale del santo, che assunse la funzione di una manifestazione del sacro accessibile a livello popolare. Geremek analizza invece soprattutto i processi di esclusione che diedero luogo al fenomeno degli individui e dei gruppi di emarginati.
Da questa serie di profili risulta una galleria varia e gustosa, in cui le stessa diversità di metodo e di intenti contribuiscono a rinnovare di continuo l'interesse e l'aspettativa. L'indiscussa competenza degli autori sui temi loro assegnati fa sì che l'esposizione sia sempre agile e viva, senza le secche dell'analisi filologica o della dimostrazione erudita. Ma qual è l'impressione generale che si trae dal libro a proposito della caratterizzazione dell'uomo medievale"? Merita di essere discussa un'affermazione fatta da Le Goff nell'introduzione, perché essa esprime se non la filosofia, almeno l'ideologia retorica e storiografica che ha presieduto alla progettazione del volume: "l'uomo medievale, per noi, è esotico". Questo modo di affrontare il Medio Evo ha assicurato il successo presso il pubblico di alcuni storici francesi, tra cui lo stesso Le Goff, e senza dubbio ha avuto un ruolo positivo come ipotesi di ricerca e di attualizzazione del Medio Evo nella sperimentazione storiografica di anni recenti. Ma sembra opportuno chiedersi se sia ancora il caso di farne un postulato basilare e permanente della storiografia; in particolare quando l'alterità dell'"uomo medievale" rischia di esser configurata sostanzialmente come primitivismo e stupidità. Le Goff elenca rapidamente le categorie mentali che susciterebbero l'impressione esotica: l'uomo medievale credeva ai prodigi, attendeva una vita ultraterrena, era sensibile al valore simbolico di oggetti e comportamenti, subiva la seduzione magica del numero e del colore e via dicendo. Ma molti di questi atteggiamenti sono stati propri della società europea almeno fino alla diffusione della televisione nelle aree marginali, e molti sono tutt'ora attuali anche nelle società urbane postindustriali: che dire della sensibilità al simbolo dell'uomo d'oggi, su cui si fondano la pubblicità e l'erotismo di massa? A proposito di numeri, perché i saggi del volume curato da Le Goff sono dieci, se non perché il 10 è un numero più bello e significativo di quanto non sia, ad esempio, l'11? E se l'uomo medievale riteneva il giallo colore pericoloso, non era perciò più esotico dell'uomo moderno che ritiene il grigio colore serioso o il rosa colore femminile.
In realtà non è sopravvalutando gli idiomatismi e le bizzarrie dei linguaggi che si può cogliere l'essenza dell'esperienza storica. È probabilmente più produttivo ormai partire dalla persuasione che gli uomini, nel Medio Evo, non erano n‚ meno scaltri, n‚ meno profondi, intellettualmente e moralmente, dell'uomo moderno, e che un recupero in chiave di curiosità non rende conto n‚ giustizia della serietà della loro vita e della loro intelligenza. Fortunatamente quest'indicazione di Le Goff non ha influenzato significativamente gli autori; soprattutto gli italiani hanno volentieri tralasciato le coloriture esotiche per mettere in rilievo piuttosto le coordinate morali e la tensione sociale caratteristiche delle forme di vita che descrivevano. Non per questo il libro ha perso la capacità di suggestione anche per un largo pubblico, e se non l'uomo, almeno la società e i problemi del Medio Evo vi sono spiegati e descritti con bella efficacia.
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