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Anno edizione: 2014
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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Lettura semplice, coinvolgente il senso di solitudine che appartiene ai protagonisti ma nulla di più.
Esordio col botto per la fino ad allora Yoshimoto. Una semplice intuizione seminale, sì, farà scuola il suo minimalismo intuitivo. Sceglie un semplice ambiente domestico, la cucina, come da titolo originale in inglese, e se ne proietta a fantasia sua di prosa, tra il favolistico, l'evocativo e il sognante trascendente, che farà proseliti, divenendo celeberrima e fra le più vendute autrici del mondo. La cucina diventa così arredamento della sua anima, a dilatarsi in tanti fantastici prolungamenti. La banalità di un tocco poetico suo geniale. Meritandosi tal primato perché è scrittrice di inestimabile rarità unica. Abbina la semplicità di narrazioni dal linguaggio facile ma sottile, fascinoso e magnetico per catturarcene in suoi tanti libri, avventurosi, onirici, strambi, quasi esoterici, spesso a episodi, orientalissimi, suggestivi e soffici, sospesi e "prospettici", perché ci inducono ad altre visioni della vita, sfioran(d)o il new age ma mai rendendolo manierismo. Non vi è anzi materia in Banana, ma un dolce, romantico ectoplasma profumato di favola, dunque la vita come dovrebbe essere, ed è per chi la vede come lei, coi suoi occhi, dunque. Ricreandola sempre.
cosa insolita ho dovuto costringermi a finire questo libro. lo trovo insulso, inconsistente, ed io che sono un'amante dei manga non riesco a ritrovarli (anche se tutti dicono che è una scrittura da manga) in questo lungo racconto. la morte e il lutto sono banalizzati. da molti commenti ho dedotto che nel leggerlo tutti vi inseriscono del proprio per ovviare a questa surrealtà; come ad esempio interpretare Yuichi come un compagno di scuola quando invece Mikage afferma chiaramente che non l'ha mai visto prima del funerale, forse per apprezzarlo dobbiamo giustificare la follia di andare a vivere sul divano di uno mai visto prima. comunque aprte questo non apprezzo ne il pòoco approfondimento dei personaggi ne i salti nella trama , per altro inesistente, che rendono la storia inconsistente. lo trovo un libro vacuo , inconsistente e di una scrittura banale, lo sconsiglio caldamente
Recensioni
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(recensione pubblicata per l'edizione del 1991)
recensione di Orsi, M.T., L'Indice 1991, n. 7
Del "fenomeno" Yoshimoto Banana si è cominciato a parlare anche in Italia, ancor prima che apparisse nelle librerie la versione italiana di "Kitchen*, il primo romanzo di successo della giovane scrittrice giapponese, scritto nel 1988. Un successo che, se all'inizio poteva essere sbrigativamente considerato moda passeggera e di scarse conseguenze, è stato invece confermato dalla pubblicazione di altri romanzi, tutti rapidamente saliti in Giappone alle prime posizioni nella classifica dei best seller. Su questa enorme popolarità, che è sembrata addirittura sfuggire al controllo del pur potentissimo sistema editoriale giapponese, si è molto discusso, ora limitandosi a riconoscere il fenomeno, che avrebbe fatto vibrare la sensibilità collettiva di tutta una generazione, ora giustificandola con l'originalità dei racconti, la loro sapiente commistione con le tecniche del fumetto, la freschezza delle immagini.
In effetti, Yoshimoto sembra aver compiuto con indubbia abilità l'operazione di attingere ai suggerimenti di una letteratura popolare (e certo nessun genere è considerato tanto "popolare "- in tutte le possibili accezioni - quanto il fumetto in Giappone), recuperandone da una parte alcuni temi, situazioni stravaganti o paradossali, colpi di scena e l'ambiguità di un reale al limite del fantascientifico; dall'altra, facendone proprie le formule descrittive, la giustapposizione delle immagini che non lascia spazio al commento, il passaggio, per così dire, dal tutto campo al primo piano da un riquadro all'altro. Ma i racconti di Yoshimoto Banana superano allo stesso tempo i parametri troppo ripetitivi, prevedibili e convenzionali (in definitiva proprio quelli su cui la letteratura popolare fonda anche la sua forza), per inserire il discorso in una struttura tutt'altro che semplice o ingenua e che rivela quanto meno una solida base letteraria. Ad essa fa da supporto un linguaggio sofisticato nelle parti descritte, ricche di ellissi e associazioni; disinvolto e spigliato all'interno dei dialoghi che mantengono l'immediatezza di un parlare "giovane", privi come sono delle costruzioni elaborate e restrittive del linguaggio formale. A questa freschezza contribuiscono anche alcune parziali innovazioni: il frequente ricorso alle onomatopee, per esempio, che purtuttavia rivela il suo debito non tanto al fumetto quanto a una tendenza più generalizzata dei nuovi scrittori giapponesi di privilegiare al massimo la forma colloquiale, agile e grammaticalmente "spregiudicata", anche all'interno del discorso scritto. Ed è senza dubbio uno dei meriti della versione italiana offerta da Giorgio Amitrano, quello di aver saputo mantenere il "sapore" dell'originale. Sapore che non si basa tanto su una ricerca della novità a tutti costi, o sul ricorso a solecismi o forme gergali così intrinseche a un gruppo da essere intraducibili se non a costo di pesanti manipolazioni, ma proprio sulla "leggerezza" con la quale si ristrutturano le immagini, senza dar l'impressione di ricorrere a paradigmi già collaudati. Una prerogativa che è stata mantenuta al meglio, per attraversando le inevitabili trasformazioni suggerite dalla resa più efficace dell'originale. Il risultato permette quindi di apprezzare anche nella versione italiana il libro della Yoshimoto, il cui fascino sta forse proprio nell'aver saputo abbinare - come qualche secolo fa suggeriva un suo illustre collega, il poeta Basbô - la "leggerezza" del discorso con la ricchezza dell'ispirazione.
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