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Il lavoro delle tre ricercatrici dell’Università La Sapienza di Roma è di particolare interesse in quanto costituisce uno studio sul complesso rapporto tra la galassia del neofascismo italiano e il mondo arabo nel periodo di tempo esaminato (1945-'73). Lo studio prende le mosse dalle relazioni tra l’Italia fascista e le nazioni arabe, dove il regime mussoliniano cercò di allargare la sua influenza e si instaurarono rapporti di amicizia con i popoli islamici. Successivamente alla fine della Seconda guerra mondiale, come è noto, i reduci della RSI si organizzarono in alcuni gruppi clandestini come i FAR, per poi dar luogo nel dicembre del 1946 al MSI che operò legalmente nelle istituzioni democratiche per oltre quarant’anni. La politica estera e in particolare mediterranea di questo partito si orientò inizialmente verso il filoarabismo, ma con la lunga segreteria del moderato Michelini l’atteggiamento mutò per dirigersi verso un sostegno allo Stato ebraico, soprattutto dopo la Guerra dei Sei Giorni nel 1967. Va detto che la moderazione micheliniana determinò la formazione di due correnti interne: una di sinistra che si richiamava all’esperienza saloina e guidata da Almirante, e una conservatrice, cattolica ed anticomunista; ci fu l’uscita dal MSI di Rauti, Erra, Graziani e altri che diedero vita al Centro Studi Ordine Nuovo che di ispirava al tradizionalismo e spiritualismo di Evola. ON si distinse per le sue posizioni antidemocratiche, antisioniste e filoarabe, queste ultime determinate dalle riflessioni del pensatore romano sulla società islamica. Il saggio prende in considerazione anche le esperienze dei gruppi che si riunivano attorno alla rivista «L’Orologio» di Lucci Chiarissi e «Corrispondenza Repubblicana», periodico della Federazione Nazionale dei Combattenti della RSI: la prima, espressione della sinistra nazionale, sostenne la causa araba così come la seconda che vedeva nell’appoggio alla lotta palestinese e al panarabismo una rottura della logica di Yalta.
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