Sul calco del fortunato volume di Franços Cusset French Theory (da poco disponibile anche in italiano per Il Saggiatore), Dario Gentili dedica la sua recente ricerca a quell'incerta costellazione teorica, che, con sempre maggiore diffusione, viene designata come Italian Theory. Se nel caso della French Theory il sintagma indica le trasformazioni sopportate dal pensiero poststrutturalista francese nel suo viaggio oltre Atlantico, il referente dell'Italian Theory è insieme più sfuggente e più determinato. Con questa espressione si cerca infatti di stabilire una linea di continuità interna a un canone della filosofia politica italiana che, dalla fine degli anni sessanta a oggi, ha fatto della discontinuità e della indisciplinatezza il proprio sigillo e il proprio blasone. Se, come sostiene Gentili, quello di "biopolitica" è senz'altro il concetto che più di ogni altro rende riconoscibile, oggi, uno stile "italiano" della filosofia, la genealogia che in esso si deposita è più densa e risalente di quanto non appaia a prima vista. L'operatore decisivo della filosofia italiana sarebbe infatti constituito dal concetto e dalla pratica del conflitto: la dimensione cruciale del politico moderno è riconosciuta da autori diversi nelle nozioni di parte e di partito; in tutte quelle pratiche e quei soggetti, insomma, che non quadrano con le forme del politico moderno. Di più: la filosofia italiana sfoggerebbe un tenore intrinsecamente politico svolgendo la propria riflessione attorno ai concetti di dicotomia, dualismo e antagonismo. Così, fissando in Machiavelli e in Gramsci le matrici genealogiche, Gentili può provare a lasciare emergere una "continuità nella discontinuità": autori insieme prossimi e distanti, come Tronti, Cacciari, Negri, Vattimo, Agamben, Esposito, trovano posto in una genealogia che ha nelle rotture, negli scarti e nelle deviazioni i propri snodi fondamentali. La rubrica sotto cui Gentili raccoglie questa compagnia così diversamente assortita è quella della sinisteritas: la parte maledetta e la maledizione della parte. Dall'operaismo e dai lavori seminali di Tronti, ciò che accampa centrale nell'Italian Theory è il "dispositivo della crisi": l'impossibilità della sintesi dialettica trasloca dal piano istituzionale a quello delle soggettività. La questione della soggettivazione, transitata dal soggetto-popolo al soggetto antagonista, sarebbe oggi infine dislocata sul piano stesso della vita. Dall'operaismo alla biopolitica, dunque, è la conflittuale vicenda della "parte dei senza parte" che continua a interrogare l'Italian Theory. Michele Spanò
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