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L' Italia che sognava Enver. Partigiani, comunisti, marxisti-leninisti: gli amici italiani dell'Albania Popolare (1943-1976) - Nicola Pedrazzi - copertina
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Descrizione


Durante la Guerra fredda, negli anni in cui i governi d'Italia e d'Albania riducevano ai minimi storici i loro contatti formali, la «Sinistra italiana» fu erede, custode e prosecutrice dell'inesauribile legame italo-albanese. Se l'antifascismo non bastò ad appianare due visioni antitetiche del mondo comunista - quella monocentrica di un dittatore dell'Est, quella policentrica di Togliatti, fautore della «via nazionale» - lo stalinismo a oltranza rivendicato da Enver Hoxha trasformò l'Albania in un laboratorio politico visitabile. Dalla fine degli anni Sessanta, i movimenti marxisti-leninisti coagulatisi intorno alla sinistra del PCI «revisionista» cercarono di appropriarsi della narrazione italo-albanese, recuperando il comune ricordo resistenziale e promuovendo il parallelo Cina-Albania. Dagli archivi di Tirana emerge così un aspetto inedito dell'Albania Popolare: ovvero la sua «apertura». Forti di una solida base documentaria, queste pagine raccontano una dimenticata storia italo-albanese, per ribellarsi al vuoto di memoria che ancora vige tra l'«Albania del Regno» e l'«Albania dei migranti».
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Dettagli

2021
28 ottobre 2021
636 p., Brossura
9788836292103

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Alessandro
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solita solfa

Che dire, solita solfa. Quando si tratta di storia di un qualche Paese socialista, l'autore accademico o semiaccademico italiano ripete gli stessi stilemi, basandosi sempre su opere mediocri, superate, smentite e inaffidabili, come le memorie di Kruschiov (giunte in occidente tramite un gruppetto di politici nordamericani legati alla CIA e a tutt'oggi attivisti pro-guerre degli USA) o i testi di Benanti (avendone letti due suoi, dal senso diametralmente opposto sull'Albania, nell'arco di una manciata di anni, posso ben dirlo). Gli autori accademici e giornalistici italiani ex-comunisti, devono sempre ricordare all'ambiente in cui nuotano, che sono appunto degli ex... ed ecco l'autore usare sempre e solo il termine 'scientifico' di Dittatore quando si riferisce a Enver Hoxha, alla faccia di ogni posa 'scientifica' assunta dall'autore di tale testo. Così come è una posa il rimuginare sui 'diritti del popolo', delle masse, quando l'autore non fa che essere affranto dalle repressioni violente di Hoxha (che riguardarono sempre i vertici massimi del Partito e dello Stato). Infatti l'autore spiega la storia dell'Albania socialista con una sfilza di testi di 'artisti perseguitati', tutti rampolli di famiglie di proprietari semifeudali e collaborazionisti del nazifascismo. Mentre sul processo di sviluppo economico del Paese di Hoxha, che avvantaggiò notevolmente il Popolo albanese per 40 anni, l'autore stende una cortina di ferreo silenzio. Non si adatta alla narrazione e alla vulgata 'liberalista', unica e sola ammessa nell'accademismo italiano vigente. Ultima cosa, l'irrisione dell'autore verso la 'minorità' dei comunisti albanesi e filo-albanesi italiani nel periodo trattato, dimostra che solo quando NATO e ong aggregate, danno il loro marchio di approvazione, una 'minoranza', di qualsiasi salsa, merita considerazione, appoggio e piaggeria nel mondo accademico e (pseudo)giornalistico italiani.

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