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un libro meraviglioso, malinconico, intenso. nel libro racconta del padre, della sua dolorosa assenza, di un angolo di storia inquietante celato per molti anni.. ma anche della difficile identità di chi appartiene ad un paese che non esiste più.. grazie per aver dato voce alla nostalgia di molti.
Un libro meraviglioso che mi ha emozionato. So che è un commento molto soggettivo ma il tempo che ho passato in compagnia di questo libro lo ricorderò per le emozioni che ho provato. Grazie Dunja.
Recensioni
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Spoglia, disabitata, da lontano abbaglia con il bianco delle sue rocce calcaree: "L'Isola si trova nel canale di Velebit, in Croazia, all'uscita del Golfo del Quarnero; quello che i marinai, per le frequenti bore e tempeste, chiamano anche il canale della Morlacca o del Maltempo, a diciassette chilometri da Lukovo sulla terraferma". I turisti la costeggiano, attraccano per soste brevi, colpiti e intimoriti dal paesaggio lunare. Ma ci vogliono guide locali e conoscenze storiche stratificate, memorie dissepolte e ritrovate per inseguire le tracce incise dal passaggio umano in una delle infinite bellezze del Mediterraneo.
L'Isola Nuda o Calva è stata il gulag di Tito, l'inferno per quanti, accusati dopo la rottura del 1948 con Stalin di filocominformismo, furono deportati in mezzo al mare per essere rieducati. "Nei documenti quasi ufficiali oggi in circolazione si calcola che tra i sedici gruppi arrivati a scaglioni dal 1949 al 1953 ci siano stati circa cinquemila morti. Tuttavia sull'Isola non c'è nemmeno un cimitero". I prigionieri ignoravano la destinazione, ai familiari non era possibile immaginarne l'esistenza, nel discorso ufficiale il Goli Otok rimase per decenni un non luogo. Dopo la morte di Tito (1980) il tabù, come accadde per altri temi della Jugoslavia comunista, fu infranto dalle pagine della letteratura. Le testimonianze autobiografiche sono rimaste scarse (in italiano cfr. Eva Grlic Memorie da un paese perduto, Scheiwiller, 2005).
Dunja Badnjevic, nata a Belgrado, più di mezza vita trascorsa in Italia, nota per la sua attività di traduttrice e di promotrice delle letterature degli slavi del sud (ha curato il "Meridiano" Mondadori dedicato a Ivo Andric), eredita una storia familiare drammatica, inestricabilmente intessuta di vicende collettive che hanno attraversato il Novecento. Per ritrovarne il filo, dopo essere stata lettrice consapevole dei numerosi testi che la storia ha prodotto e macinato, compie un suo personalissimo pellegrinaggio: nel tempo, in un andirivieni continuo fra passato remoto, prossimo e presente, l'unico tempo che riesca a rappresentare la storia del paese ex; nello spazio, tra le due sponde dell'Adriatico, tra paesaggi e dimore in dialogo con gli affetti; nel testo del diario scritto dal padre morto ormai da tempo. L'Isola Nuda è un distillato, i ricordi della bambina e della donna adulta sono collocati nell'ambiente geografico-storico circostante, l'autrice tiene forte il nesso che unisce l'io al noi, trova una forma originale e una lingua emotiva che permette all'io narrante di essere insieme protagonista e osservatore nel passaggio generazionale, di padre in figlia. Mentre concede alla scrittura di diventare il luogo nuovo dell'elaborazione dei lutti, delle memorie, delle colpe, dei rimpianti.
Il padre di Dunja Badnjevic, appartenente a una famiglia benestante e importante (quell'impasto serbocroatobosniaco che solo il sangue ha potuto separare), noto partigiano, divenuto nel dopoguerra alto dirigente (ambasciatore al Cairo nel 1945), fedele ai suoi ideali non esalta la rottura che dal giorno alla notte trasforma lo stato sovietico da principale alleato in minaccia. Tutto della sua biografia diventerà sospetto: il pedigree borghese, l'esser sopravvissuto nel lager di Jasenovac, il rifiuto di accettare i privilegi della "nuova classe". In uno di quei rovesciamenti perversi di cui la storia della (ex) Jugoslavia ha fornito rappresentazioni tragiche fino ai giorni nostri, l'intellettuale idealista deve soggiacere alla primitività del popolo: "La fila indiana, la conta, un tè annacquato, il capo basso davanti ai poliziotti. Mai tante centinaia, tante migliaia di capi partigiani, comandanti di brigate, di battaglioni, commissari, membri della Lega, l'élite dell'apparato aveva abbassato il capo davanti a poliziotti quasi analfabeti".
Esref Badnejvic tornerà dall'Isola, ritroverà figli spersi e una moglie spezzata. "Apolitudine", il neologismo che l'autrice trova per esprimere lo straniamento provato dinnanzi allo smembrarsi recente del suo corpo-paese, richiama il tormento originario per l'inafferrabilità di quanto si è amato e conosciuto. Nicole Janigro
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