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Anno edizione: 2019
Anno edizione: 2023
Anno edizione: 2023
Vincitore del Premio Estense 2019
Francesca Mannocchi, giornalista e documentarista che da molti anni si occupa di migrazioni e zone di conflitto, ci restituisce la sua voce. Le sue parole raccontano un mondo in cui la demarcazione tra il bene e il male si assottiglia.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
“Io Khaled vendo uomini e sono innocente” è un romanzo verosimile che tratta un tema di estrema attualità, l’immigrazione clandestina. Si tratta di una sorta di “storia nella storia”: Khaled, il protagonista, racconta della sua famiglia, delle sue esperienze all’interno del quadro della realtà libica, illustrando i meccanismi nascosti di una nazione corrotta e permeata dalla violenza, partendo dalla dittatura di Gheddafi occultata dalla ricchezza. Khaled, persa la speranza di cambiare la propria terra e di raggiungere la libertà, finisce per diventare ingranaggio di un sistema perpetuo: sceglie di svolgere un lavoro sporco, il trafficante di esseri umani, sentendosi paradossalmente innocente. Innocente perché in uno stato crudele come quello della Libia, si può vivere solo guadagnando soldi sporchi. “La luce è più importante della lanterna”: se apparentemente Khaled sembra colpevole, in realtà è una vittima di uno stato ricco quanto crudele, che è rimasto uguale anche dopo la rivoluzione. Se prima c’era il regime di Gheddafi, ora il regime è di tanti Gheddafi minori, i miliziani. Personalmente ho trovato questo libro crudo e commovente, ho apprezzato la capacità dell’autrice di imprimere forti emozioni al lettore, attraverso immagini brutali di donne stuprate, uomini e bambini sottoposti a trattamenti inumani e degradanti. Francesca Mannocchi racconta la verità, al fine di abbattere ogni convinzione secondo la quale la Libia è un posto sicuro.
io khaled vendo uomini e sono innocente è un testo crudo che denuncia una situazione attuale sotto un punto di vista differente da quello a cui siamo abituati. Mi è piaciuto perché permette di capire la situazione della Libia e la crudele verità e ho apprezzato le metafore utilizzate dall'autrice, è un libro in grado di far riflettere.
Ad essere onesta, inizialmente la trama mi sembrava confusionaria e poco scorrevole. Proseguendo con la lettura, però, mi sono resa conto della complessità del lavoro che sta dietro a un romanzo del genere e della profondità del significato che avrei potuto trarne. Ogni passaggio dell’intreccio è studiato in modo dettagliato, e ogni parola si trova al suo posto, anche nelle descrizioni più crude e brutali. La scrittrice, Francesca Mannocchi, è in grado di colpire la sensibilità del lettore per portarlo poi a riflettere sulla tematica. In conclusione ho apprezzato il romanzo e sento di consigliarlo a tutti coloro che desiderano approfondire la storia contemporanea e, in particolare, i suoi lati nascosti e, per questo, poco discussi e presi in considerazione.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
«We came, we saw, he died». Era il 20 ottobre del 2011 e l’allora segretario di Stato americano, Hillary Clinton, commentava così la notizia della morte del Raìs libico, il colonnello Gheddafi. A distanza di nove anni dallo scoppio del conflitto, l’unica cosa certa è che il vento della rivoluzione che ha soffiato sulla Libia ha spazzato via il desiderio di libertà, trasformando uno dei Paesi più sviluppati del Medio Oriente e Nord Africa in Stato fallito. Francesca Mannocchi, reporter e documentarista, nel suo romanzo di esordio Io Khaled vendo uomini e sono innocente (195 pagine, 17 euro), pubblicato da Einaudi, nella collana Stile Libero, ci racconta il fallimento della rivoluzione araba del febbraio del 2011 che ha mutato la terra libica in crocevia del traffico di esseri umani dall’Africa sub-sahariana verso l’Europa.
Gli oppositori al regime di Gheddafi non hanno mai celebrato il “giorno della liberazione”, lo racconta in prima persona il protagonista del romanzo, la cui voce narra gli orrori dell’odierna Libia. Che ne è stato dei “rivoluzionari falliti”? Alcuni sono diventati trafficanti di esseri umani, come Khaled, il personaggio a cui è affidato il compito di mettere in luce le zone d’ombra di un Paese che vive tra caos e atrocità. Mannocchi sceglie di raccontare le radici profonde del traffico di uomini, un fenomeno complesso, e le racconta da un punto di vista diverso e scomodo, quello di chi si è adattato, a suo modo, ai mutamenti catastrofici del Paese.
I libici non hanno mai compreso fino in fondo il significato della parola «libertà»: la dittatura è rimasta nella loro testa. Sono «camaleontici», così li descrive Khaled: mutano pelle e si mimetizzano, ma le persone che riempivano la piazza nel febbraio 2011 non possono essere di colpo diventate tutte rivoluzionarie. «Ubriachi di libertà», dopo gli effetti passeggeri della sbornia, è rimasto il caos.
«…che ne sapevano noi della libertà, noi che non eravamo mai stati liberi, e proprio perché non eravamo mai stati liberi non sapevamo di essere schiavi»
Che fine hanno fatto le speranze di cambiamento, progresso e libertà dopo essere state tradite? Khaled, per esempio, è diventato uno scafista; ha continuato ad imbracciare un fucile non più per un ideale, ma per se stesso: in fondo vuole solo «guadagnare» i soldi necessari per acquistare una casa in Turchia, cosa importa se manda a morire donne e bambini.
I crimini commessi a sangue freddo sono stati scambiati per una rivoluzione, mentre la morte dei seguaci di Gheddaffi è stata considerata giustizia. Adesso porta avanti la sua personale rivoluzione, continuando a perpetrare nefandezze, omicidi e stupri, cercando alibi: «Almeno io non mi sono seduto in un ministero, tra i riciclati. Ho scelto il lavoro sporco, sono più onesto». Si arricchisce sulle spalle degli africani e dei siriani per necessità: è stato un combattente delle milizie di Misurata e ha visto morire in battaglia l’amato fratello, ma non ha voluto far parte della schiera di vincitori che hanno chiesto come risarcimento la poltrona in un ministero.
Francesca Mannocchi conosce bene la Libia e i cambiamenti che hanno attraverso un Paese ormai diventato campo di battaglia. Racconta due generazioni di libici a confronto, quella di Khaled e del padre a cui non perdona il suo essere stato camaleonte, tradendo amici e parenti, ma soprattutto la voglia di libertà e di democrazia di giovani che, alla fine, tra il bene e il male hanno scelto quest’ultimo.
«Resta poco e niente della rivoluzione, papà. E sai perchè? Perché i libici sono quasi tutti come te. Non sanno fare niente. Perché erano sudditi e adolescenti, e sono rimasti terrorizzati, come allora. Quindi, sì, papà, mando le persone ad attraversare il mare sui gommoni, ma mi sento più forte di te»
La scelta di Khaled è spacciata per eroismo perché ha deciso di restare nel suo Paese nonostante tutto. Se per il resto del mondo è un carnefice, in Libia, o almeno in una parte del Paese, è considerato un benefattore perché dà lavoro a chi piange miseria, a chi non ha soldi per acquistare un generatore (solo chi ha elettricità può sentirsi ricco). Si sente innocente, ma la sua coscienza dice altro: Fouzieh, la donna siriana di Homs che si è rivolta a Khaled per attraversare il mare, va da lui quasi ogni notte per turbare il suo sonno, con il piccolo figlio Bilal che non sa nuotare e non ha il salvagente. Un racconto straziante che costringe il lettore a guardare la vicenda da una nuova angolazione per comprendere un fenomeno che è molto più complesso di quello che vogliono farci credere. Dietro il racconto in prima persona del protagonista c’è la storia di un Paese che non è mai stato liberato, ma ha visto mutare lo stato di sudditanza. Un Paese che ha tradito le speranze fino ad anestetizzare l’anima di chi considera gli africani il vero oro nero della Libia e si arricchisce con il traffico di esseri umani. A Khaled non è mai piaciuto il mare, ma nella schiuma delle onde c’è la sua fortuna: la sua vita affonda nella sabbia del deserto, quel lembo di terra che scavano per estrarre petrolio, mentre i libici continuano a morire di fame.
Recensione di Arcangela Saverino
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