Tra le minacce più gravi che incombono sul nostro mondo c'è la crisi del giudizio, il suo ritrarsi di fronte al male, e il connesso riemergere dell'essere totalitario denunciato da Hannah Arendt. Sue caratteristiche erano e sono la mancanza di pensiero e l'incapacità di giudizio. Come a dire che le intere fondamenta della civiltà occidentale, costruite lungo secoli di lotte e conquiste, stanno crollando sotto il peso di una trasformazione radicale che la globalizzazione e la tecnicizzazione stanno producendo da anni nelle mentalità collettive. Si tende ormai a confondere ciò che è umano, e quindi perfettibile ed emendabile, con ciò che è naturale, dunque necessario e ineluttabile. Ma il crollo delle borse e la crisi mondiale dei mercati finanziari, gli incidenti nucleari, le carestie o la corruzione dilagante non sono fenomeni di fronte ai quali possiamo dichiarare la nostra impotenza né mostrare indifferenza e rassegnazione. Secondo Daniela Belliti stiamo vivendo uno di quei momenti nella storia dell'umanità in cui si richiede una riflessione alta per evitare una deriva morale senza fine. Solitamente in questi casi è il relativismo l'imputato principale, accusato di occultare il nichilismo. Belliti non è di questo parere, perché il riconoscimento della pluralità della condizione umana non conduce di per sé al livellamento dei giudizi, all'indifferenza e all'insensibilità morale. Eppure occorre ripartire dalle aporie insite nella categoria di "banalità del male", che tanto ha contribuito a ripensare i limiti della ragione illuministica e di una modernità occidentale lasciata a sé come un progetto che poteva autoalimentarsi senza più esercizio di critica filosofica e antropologica. Questo libro è una coraggiosa risposta allo smarrimento contemporaneo. Danilo Breschi
Leggi di più
Leggi di meno