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Indice
VALLI, VITTORIO, Politica economica, La Nuova Italia Scientifica, 1986
SAMUELSON, PAUL A. / NORDHAUS, WILLIAM D., Economia, Zanichelli, 1987
RODANO, GIORGIO, Introduzione alla microeconomia, La Nuova Italia Scientifica, 1987
PHELPS, EDMUND S., Economia politica, Il Mulino, 1987
LOMBARDINI, SIRO, Il nuovo corso di economia politica, II, Utet, 1986
recensione di Vaccarino, G.L., L'Indice 1988, n. 4
In genere, a chi inizia (o riprende per conto proprio) lo studio degli elementi primi dell'economia politica viene consigliato di utilizzare un manuale tra quelli più diffusi nelle università americane molti dei quali si trovano oggi anche in ottime traduzioni italiane. Sono gli stessi testi, del resto, più comunemente adottati nei corsi di economia dei primi anni delle nostre università. La ragione di questa preferenza è presto detta. Dal punto di vista didattico pochissimi manuali di autori italiani possono seriamente competere con quelli stranieri (soprattutto americani) per chiarezza, completezza, aggiornamento ed efficacia espositiva, e ciò sia perché all'estero l'esperienza didattica su cui si basa la stesura di un manuale è più ricca e complessa (non tanto per differenze di capacità personali dei docenti, quanto per la diversa qualità delle strutture universitarie in cui si realizza l'insegnamento), sia perché la fattura di un manuale non è, come da noi, il frutto di un lavoro individuale di tipo artigianale, ma è una vera e propria produzione industriale, resa possibile dalla vastità del mercato su cui il prodotto verrà collocato. Dal punto di vista dei contenuti, ciò che rende attraenti i manuali stranieri (non solo ai fini dello studio degli elementi primi dell'economia, ma anche per lo specialista, come stimolo per la riflessione sullo stato profondo della teoria) è il fatto che essi invariabilmente presentano l'economia politica come una disciplina organica e coerente nelle sue diverse parti componenti, (anche se ovviamente articolata al suo interno), e in quanto tale capace di rendere conto della realtà della vita economica nel suo insieme. Essi cioè si presentano come "sintesi" tra le zone critiche della disciplina e tra le diverse più influenti posizioni teoriche (con esclusione, ovviamente, di quelle più radicali sulle ali estreme dello schieramento).
È facile rilevare in tutto ciò una marcata differenza rispetto a molti manuali nazionali, come si può vedere esaminandone alcuni tra i più recenti, come quelli di Lombardini, Valli e Rodano. Essi non propongono infatti allo studente alcuna "sintesi" teorica capace di spiegare il complesso della realtà economica, ma hanno come intenzione dichiarata di mettere in evidenza le zone critiche delle diverse aree della disciplina, i limiti delle diverse teorie e le difficoltà cui vanno incontro quando sono usate per fornire spiegazioni globali dei fenomeni economici. "Una convinzione che certamente lo studente ricaverà alla fine del corso è che non esiste alcuna teoria che possa spiegare il concreto funzionamento dell'economia: una teoria può al meglio spiegare certi aspetti del sistema e certi momenti del suo funzionamento", scrive ad esempio Siro Lombardini nel suo "Nuovo corso di economia politica", che tratta in questa prospettiva tutti i temi più importanti della disciplina dalle varie versioni della teoria dell'equilibrio economico generale ai modelli macroeconomici di crescita e di equilibrio di breve periodo, alle teorie dello sviluppo, delle fluttuazioni cicliche e del sottosviluppo economico. L'insegnamento della microeconomia - osserva Giorgio Rodano nella "Premessa" al suo bel volume di "Introduzione alla microeconomia" - presenta una "barriera all'accesso" costituita dagli strumenti matematici necessari all'esposizione della teoria. Per aggirare l'ostacolo, in genere ci si accontenta di presentazioni allusive ed euristiche dei risultati, corredandole magari di esemplificazioni. La comprensione della disciplina da parte dello studente - prosegue Rodano - risulta di conseguenza superficiale e acritica, e in particolare "rimane in ombra un punto decisivo, ossia che la microeconomia è una disciplina costruita in modo assiomatico-deduttivo i cui risultati sono validi per un mondo teorico, e la cui rispondenza col mondo reale è tutta da verificare. Di conseguenza, se non si vuole rinunciare ad una presentazione della materia che dia un'idea corretta della complessità della disciplina e dei suoi limiti, anche in un corso introduttivo è necessario addentrarsi nelle inevitabili difficoltà formali della materia. E il volume di Rodano costituisce un tentativo, si direbbe riuscito, di far fronte a questa giustissima esigenza nello studio della microeconomia neoclassica tradizionale. Anche Vittorio Valli, in "Politica economica", mostra chiaramente di non proporsi "sintesi teoriche": l'originalità del suo manuale sta invece nell'inserire modelli, schemi interpretativi, strumenti analitici, proposte di politica economica, nel contesto storico dell'evoluzione dell'economia italiana. È ovvio che questa storicizzazione mette in evidenza i limiti delle teorie correnti, e soprattutto di quelle concezioni (prevalenti all'estero) che limitano la politica economica, nel migliore dei casi, alle sole politiche anticongiunturali. Per Valli, invece, i veri problemi della politica economica italiana riguardano i nodi strutturali tutt'ora irrisolti, come il divario Nord-Sud, l'occupazione, ecc., e la cui soluzione può trovarsi solo in una politica a medio-lungo termine, una politica che è completamente trascurata dai testi usuali di macroeconomia.
Naturalmente, questo modo di impostare lo studio elementare dell'economia non solo impone un maggiore sforzo iniziale allo studente, ma alla fine gli lascia anche minori certezze e molti dubbi. Forse anche qualche dubbio di troppo: la frammentarietà della teoria gli può infatti far sorgere l'impressione che sia la realtà economica stessa a non rispondere ad alcuna logica unitaria, e che in essa possa perciò avvenire quasi tutto. Ma l'una cosa, naturalmente, non implica necessariamente l'altra.
Comunque sia, con i manuali d'oltre oceano non si corte alcun rischio del genere. Si veda, ad esempio, ciò che vien detto in proposito nel più autorevole di essi, il Samuelson, divenuto nel 1985, alla sua dodicesima edizione, Samuelson-Nordhaus: si tratta di "una nuova sintesi della moderna teoria economica dominante" che presta - ci viene assicurato - "una scrupolosa attenzione a tutte le scuole in concorrenza...: eclettismo postkeynesiano, monetarismo, aspettative razionali, libertarismo di Chicago, marxismo ed economia radicale". L'idea della sintesi", che però veniva allora qualificata come "neoclassica", stava naturalmente alla base anche della prima edizione (del 1948) di questo libro, ed aveva un significato teorico assai preciso: si trattava di innestare la nuova teoria macroeconomica di derivazione keynesiana, e con essa le nuove concezioni sul ruolo attivo dell'intervento pubblico in economia, sul corpo della più antica teoria microeconomica neoclassica, favorevole alla libertà dei mercati. Sul piano politico, riuscire nell'innesto significava mostrare i vantaggi dell'economia "mista" (mercati liberi, ma corretti dalla presenza della politica economica e dalle redistribuzioni di reddito dello Stato assistenziale) nei confronti sia dei sistemi economici collettivistici sia dei sistemi di mercato non regolati. Il significato non solo teorico, ma anche (e forse soprattutto) politico (tenuto conto dell'autorevolezza dell'autore) spiega il grandissimo successo di questo libro, venduto in milioni di copie e tradotto in più di venti lingue. Ma il dibattito nel campo della teoria macroeconomica ha mostrato (a mio parere ormai inequivocabilmente) che quell'innesto non è possibile senza danni sull'uno o sull'altro versante: non è un caso che nelle ultime edizioni Samuelson non qualifichi più come "neoclassica" la sua sintesi, n‚ è un caso che le parti più ampiamente riscritte riguardino la macroeconomia e le sue zone di raccordo con la teoria microeconomica neoclassica (l'offerta aggregata, ossia la determinazione dei prezzi e dei salari).
La storia - quantomeno in campo teorico - avanza sempre dal lato cattivo. È toccato ai liberisti mostrare a che piccola cosa si riduce la teoria macroeconomica (e il ruolo possibile dell'intervento pubblico) se si fa valere fino in fondo la logica di comportamento razionale dei mercati neoclassici nella formazione dei prezzi e dei salari. Si tratta, beninteso, di una logica "assiomatico-deduttiva", per usare l'espressione di Rodano, che non è detto sia in grado di render conto dei comportamenti effettivi dei mercati reali, soprattutto nel caso dei mercati del lavoro che sono mercati assai particolari. E tuttavia queste conseguenze sono mostrate con grande chiarezza e lucidità da Edmund Phelps nell'ultima parte del suo interessantissimo e personalissimo manuale. Phelps ha dato dei contributi fondamentali alla rinascita neoliberista proprio in tema di analisi dei mercati del lavoro. Egli tuttavia critica lo scarso realismo delle teorie neoliberiste più radicali, e si mostra aperto alle ragioni del buon senso keynesiano. Anch'egli ha, naturalmente, una sua idea su come giungere ad una "sintesi" tra micro e macroeconomia, ruolo dei mercati e ruolo dello stato. Si tratta di tener conto a tutti i livelli del costo di acquisizione e di diffusione delle informazioni, che rende lento e imperfetto il raggiustamento all'equilibrio da parte dei mercati. Il suo manuale è troppo anomalo e originale (oltre che discutibile nella sua impostazione) per poter essere effettivamente usato come testo introduttivo. Ma dovrebbe essere tenuto presente come utilissimo complemento di altri testi più ortodossi da chiunque voglia avere un quadro completo dello stato attuale, come si vede assai controverso, dell'economia.
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