Il merito del lavoro di Maria Grazia Meriggi è prima di tutto il tema individuato, quello delle relazioni internazionali dei lavoratori, soprattutto nel quadro europeo, ma con alcune aperture sugli Stati Uniti: il prodotto, già dalla metà dell'Ottocento, di un mercato del lavoro che attraversa i confini nazionali e un campo sociale da controllare e da indirizzare per i poteri pubblici dei vari stati europei. Per le diverse forme di organizzazione operaia è la scoperta, dopo la stagione del 1848, di nuove forze coesive nella società e non nella nazione, ed è un terreno d'azione sul quale si intrecciano le spinte a un internazionalismo nei fatti ("le relazioni internazionali degli operai senza l'Internazionale") e insieme quelle divisive e concorrenziali tra i soggetti che agiscono in questo specifico tipo di mercato. Le questioni essenziali che ne risultano sono quelle delle migrazioni, con i primi esempi dell'uso antioperaio dei processi di globalizzazione, e quella della disoccupazione, il cui carattere strutturale nell'economia capitalistica comincia a essere percepito e discusso nel movimento operaio solo dopo la svolta del Novecento. Sono le questioni a cui Meriggi dedica la maggiore attenzione. Due elementi in questa impostazione, nella quale gioca un ruolo significativo il confronto con un grande storico internazionale come Georges Haupt, mi sembrano particolarmente rilevanti per la storiografia dei movimenti dei lavoratori. Il primo è che la lotta per affermare le ragioni del lavoro in ambiti che superano i quadri nazionali prescinde, come già accennato, dalle stesse configurazioni istituzionali che i movimenti operai assumono nella loro storia internazionale (si veda nel libro tutta la parte dedicata ai congressi operai in Francia negli anni settanta e ottanta dell'Ottocento) e, una volta che queste configurazioni istituzionali si sono affermate, contraddice spesso le definizioni e distinzioni tra forme d'azione (politica, economico-rivendicativa, mutualistica, cooperativistica) e paradigmi ideologici, concettuali, lessicali, sui quali le organizzazioni internazionali si costruiscono, anche attraverso i loro infiniti dibattiti. Il secondo è l'adozione di una metodologia che privilegia la volontà di dare voce ai protagonisti dei mondi del lavoro nei loro diversi contesti e di registrarne l'impatto sulle diverse società, attraverso l'ampio ricorso a due tipi di documenti: in primo luogo gli organismi di rilevazione e di sorveglianza, importanti per i resoconti e per le conoscenze, ma anche come spie di paure, stereotipi, finalità repressive, che stanno dietro l'osservazione dei mondi operai; in secondo luogo le fonti prodotte dalle organizzazioni dei lavoratori (per un'ampia parte del lavoro di Meriggi il riferimento principale è la corrispondenza del Bureau Socialiste International, Bsi, l'esecutivo della Seconda Internazionale dopo la svolta del Novecento), che sono anch'esse fonti istituzionali, ma che permettono l'espressione non solo delle organizzazioni aderenti, ma dei più diversi ambienti sociali e culturali. Dal primo elemento risultano molte possibilità di una storia culturale non solo degli ambienti operai, ma anche di coloro che per ufficio se ne occupano; per il secondo, mi sembra che Meriggi abbia avuto ben presente il contributo di studio critico delle fonti della Seconda Internazionale che, dalla prima metà degli anni sessanta, aveva costituito la base del successivo lavoro di ricerca di Haupt. Un movimento che si era costituito sostituendo il discorso delle classi a quello quarantottesco delle nazioni vive un processo differenziato di radicamento nei diversi quadri nazionali in cui agisce, e che condizionano anche i rispettivi mercati del lavoro proprio nella fase della costruzione della nuova organizzazione internazionale di massa fra Otto e Novecento. È il passaggio che mi sembra meno tematizzato nel libro di Meriggi e sostanzialmente limitato all'analisi del sindacalismo"giallo", corrente marginale, non rappresentativa del movimento operaio e preda della parola d'ordine della "preferenza nazionale". La questione non è il peso dei cosiddetti jaunes, ma tutte le gradazioni attraverso cui si determinano appartenenze nazionali che non sono soltanto subite, ma spesso espressione della capacità di trasformazione delle società e degli stati attraverso l'azione dei movimenti operai stessi, e che, all'epoca del Fronte popolare, coinvolgeranno anche quel movimento di ispirazione comunista del quale Meriggi valorizza l'azione verso i lavoratori immigrati dopo la prima guerra mondiale. Si tratta comunque di temi di discussione destinati a durare e che nulla tolgono al contributo di conoscenza che questo lavoro ci offre. Andrea Panaccione
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