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“Né diario né romanzo, ma con la verità cruda del primo e la fantasia del secondo”. Così veniva presentata al pubblico la prima edizione de L’internata numero 6, apparsa a Roma nell’ottobre 1944. Ma il libro, bello e coraggioso, di Maria Eisenstein (che nell’Epilogo si lasciava intendere fosse stata inghiottita dalla Shoah) costituisce anche la prima testimonianza diretta su un campo di concentramento dell’Italia monarchico-fascista. Chi era realmente Maria? E quali sono, nel suo testo, gli esatti confi ni tra fi ction e realtà, tra “diario romanzato” e denuncia civile? A queste domande, e a tante altre ancora, dà risposta ora Carlo Spartaco Capogreco, che dell’Autrice ci restituisce il volto, il vero nome, il percorso di vita. E ci racconta anche le vicende di questo libro – sempre fresco e sorprendente – che si inseriscono, a pieno titolo, nella storia intellettuale del nostro Paese e nelle sue politiche della memoria.
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I diari del tempo di guerra solitamente sono noiosi, opera di soldati che rievocano con tono pomposo operazioni militari, marce, arretramenti del fronte. Piuttosto raro leggere memorie dovute ad una mano femminile, una donna giovane, bella e intelligente. Autrice di un testo le cui pagine descrivono un luogo che appare inverosimile, come prima impressione: decine di donne, giovani e anziane, vivaci o depresse, costrette a convivere in un edificio dotato di un solo bagno. Devono ottenere un permesso se vogliono fare una passeggiata nella cittadina noiosa dove sono internate. Molte di loro provengono da grandi città europee, come la stessa autrice e protagonista del racconto, Maria Eisenstein, cresciuta a Vienna, abituata a frequentare concerti e mostre. Sono donne colte, istruite, parlano diverse lingue, sono abituate a muoversi liberamente. Ma si trovano internate a Lanciano, in Abruzzo, in quanto ebree straniere presenti sul territorio italiano al momento dell'entrata in guerra, il 10 giugno 1940. L'internata numero 6 è proprio lei, che riporta i nomi delle sue amiche di internamento, anche i nomi delle altre compagne che non sopporta, perché sono impiccione, invadenti, o semplicemente perché non le piacciono. Maria non teme di apparire frivole e superficiale, scrive con estrema libertà che le pesa l'internamento perché non ci sono uomini, in quel posto assurdo. Un libro straordinario per vivacità e linguaggio, scritto nel 1944, quando l'autrice, tornata libera in modo avventuroso, si muove tra Bari, Napoli, Roma, nell'Italia liberata. Maria conosce giornalisti, scrittori, artisti, tutti impegnati in progetti culturali, a volte ambiziosi per i tempi ancora grami e tristi, animati e sostenuti dall'entusiasmo per la riconquistata libertà. Da notare che L'internata numero 6 viene pubblicato a Roma, nell'ottobre 1944, uno dei primi frutti della ritrovata libertà di stampa. Il volume riemerge dall'oblio grazie a Spartaco Capogreco, che ha seguito per anni le sue tracce.
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