Con inesorabile precisione e passione di verità, Améry registrò in questa sua vertiginosa discesa nell'abisso concentrazionario le disfatte dello spirito, a cominciare dalla peculiare inferiorità nella quale venne a trovarsi nel Lager. L'inadeguatezza alla dimensione meramente fisica cui a Auschwitz era ridotta la vita lo rese paria tra i paria. Era un intellettuale, un uomo infinitamente più indifeso rispetto a chi, come i credenti di qualsiasi fede o i militanti di ogni ideologia, possiede certezze assolute e spiegazioni inoppugnabili per tutto, stampelle che aiutano a sopportare umiliazioni, privazioni, torture e morte. In questo senso la sua riflessione si rivela di un'ancor più insidiosa fragilità, impedendogli di illudersi e costringendolo a scrutare sino in fondo l'annientamento della morale. Proprio attraverso la disillusa assolutezza con cui seppe misurare le nostre implacabili «perdite di terreno», Jean Améry si rivela alla fine un maestro di dignità e libertà. Pubblicato quasi in sordina nel 1966 e diventato nel volgere di qualche anno un classico imprescindibile della letteratura concentrazionaria, Intellettuale ad Auschwitz è un lucidissimo regesto sul tema del Male in una delle sue più abiette manifestazioni. La sua precisione evocativa penetra nelle fibre della mente lasciando segni indelebili nella coscienza di ognuno. )
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