La lettura del pensiero di Ernesto De Martino proposta in questo saggio gravita attorno a un nucleo problematico fondamentale: la possibilità di argomentare sulla dimensione dell'ingestibile, ovvero della possibilità di uscire dalle maglie ingabbianti di ciò che Heidegger ha definito 'Gestellung', il potere incasellante della Tecnica, della sua vocazione all'onnipotenza gestionale. L'indagine di Ernesto De Martino, infatti, appare segnata da una particolare dialettica interna: da un lato, è evidente la dichiarata esigenza di affrontare la questione etnologica senza abbracciare posizioni irrazionalistiche, bensì affidandosi a una prospettiva storicistica e umanistica aperta al contributo investigativo interdisciplinare; dall'altro, la constatazione epistemologica maturata dallo stesso De Martino dell'irriducibilità in termini di razionalismo scientista e storicista della fenomenologia paranormale e della presenza intesa come 'stare al mondo' e della stessa dimensione magica. In ultima analisi, il saggio prende le mosse proprio dalla definitiva inspiegabilità di quel 'Iato oscuro', che pure gli intendimenti epistemologici di De Martino avrebbero voluto chiarire una volta per tutte, suggerendo così tre piste ermeneutiche: la rimeditazione degli interessi iniziali dell'antropologo napoletano per il paranormale; la riconsiderazione della sua teoria dell'esistenza così come sembra emergere dalle pagine de II mondo magico; lo sviluppo delle suggestioni provenienti dalla sua ultima opera, La fine del mondo, lette in un'ottica di confronto con il pensiero di Spengler e Jünger. Infine, l'autore di questa ricerca si è ritagliato uno spazio di riflessione sulla Tecnica e sul Sacro nel panorama contemporaneo a partire da alcune intuizioni demartiniane.
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