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Rachel Cohen ha trovato il modo di scrivere qualcosa che è insieme romanzo, saggio e biografia, ed il motivo è, credo, che se se ne fosse resa conto non avrebbe osato. Alla fine Un incontro casuale è una mappa cronologica e geografica che unisce letterati, fotografi, artisti, filosofi, generali, politici, attori, in una rete di affetto, amore, complicità, antagonismo, ammirazione, invidia, disprezzo e compassione, e racconta gli "incontri casuali" che hanno avuto, l'uno con l'altro, nell'arco di un secolo, dall'infanzia di Henry James alla morte di Chaplin. E' un libro confortato dall'amicizia, ammirato dalla genialità, commosso dall'umanità, di americani che nel corso di un secolo hanno, olte che dipingere, fotografare, comporre, recitare, combattere (e combattersi), sorprendentemente, vissuto.
Recensioni
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A metà strada tra saggio biografico, romanzo e riflessione letteraria, Un incontro casuale. Le vite intrecciate di scrittori e artisti americani (1854-1967) non deve essere considerato come un tentativo da parte dell'autrice di ridisegnare una mappa della letteratura americana, come molti critici l'hanno accusata di fare. A parte, infatti, alcune conversazioni con il fotografo Richard Avedon (1923-2004), Rachel Cohen, studiosa, insegnante e giornalista, decide unicamente di dar forma di libro alle tante storie private incontrate durante di anni di ricerca, creando, in questo modo, una storia "curiosa" e aneddotica della letteratura americana. Utilizzando frammenti di saggi, autobiografie, lettere, diari, taccuini, ma anche romanzi e fotografie, Rachel Cohen scandisce le sue storie attraverso capitoli che, di volta in volta, in un gioco continuo di rimandi temporali e, soprattutto, intellettuali, ci forniscono il senso di una vicenda culturale in cui è l'esperienza della vita a contare davvero. L'autrice non segue regole particolari al momento dell'inclusione di uno scrittore o di un artista nel suo volume e le sue giustificazioni per i "grandi assenti" suonano, come lo stesso titolo cita, del tutto casuali: "Gli scrittori e gli artisti di cui mi sono occupata nacquero in America o vi operarono in maniera significativa. Vivevano in città, passavano moltissimo tempo a scambiarsi visite o a conversare, quando erano lontani scrivevano una gran quantità di lettere, e gli amici non li perdevano mai veramente di vista. Un quadro, questo, che non si sarebbe potuto estendere a scrittori come Emily Dickinson, Jean Toomer, Robert Frost, William Faulkner o Flannery O'Connor. I personaggi di cui si parla in questo libro nutrivano interesse per la realtà sociale, anche se nella maggior parte dei casi ciò non è documentato, e questo spiega almeno in parte l'assenza di Henry Adams, Jane Addams, Theodore Dreiser, Edith Wharton e Richard Wright". Un discorso che si ripete quando l'autrice si trova a selezionare i maestri delle arti figurative. Nel volume si parla di fotografi specializzati in ritratti, oppure di pittori e disegnatori che realizzavano le loro opere in un'unica seduta, o di creatori di assemblaggi. Nessuna sorpresa quindi se, nell'indice, figurano personaggi come Matthew Brady, Edward Steichen, Carl Van Vechten e Richard Avedon, mentre mancano pittori come Sargent (1856-1925), Fairfield Porter (1907-1975) o Larry Rivers (1923-2002), che pure hanno intrecciato la loro vita a quelli d'altri artisti o autori di prim'ordine. Esperta ritrattista, Rachel Cohen fa muovere abilmente i suoi soggetti e, ricercando la migliore rifrazione di luce, riesce ad immortalarli nel momento esatto, collocandoli, ad hoc, nella loro realtà sociale e privata. Spesso il meccanismo si rivela vincente. Da Matthew Brady alle prese con un dagherrotipo di un giovanissimo Henry James insieme al padre, a Norman Mailer e Robert Lowell in marcia verso il Pentagono durante la Guerra in Vietnam, la Cohen ci presenta persone in carne e ossa, senza dogmatismi e senza proclami, come sono stati in certi momenti della loro vita e mai più dopo. Si legge quindi dei piacevolissimi pomeriggi passati da Willa Cather davanti al caminetto in compagnia di Annie Adams Field e Sarah Orne Jewett (la cui relazione era stata definita come un classico esempio di "matrimonio bostoniano"), del sincero piacere provato da William Dean Howells durante le nottate di fumo e scotch con Mark Twain, della stima sentita da William James (fratello di Henry) nei confronti del "mulatto" Du Bois. Si scopre che Hart Crane amava spesso alzare il gomito, che Walt Whitman aveva un colorito talmente roseo da far venir voglia di "mangiarselo", che l'aspetto d'immobile serenità di Gertrude Stein ricordava un Buddha, ma anche che Marianne Moore fu la prima e più sagace sostenitrice della Bishop, che la giovane Gertrude Stein adorava passeggiare nel campus di Harvard con il rassicurante professor James e che John Cage e la moglie di Duchamp erano soliti giocare a scacchi insieme. Un percorso a ritroso nel tempo per scoprire, arrivando alle ultime pagine, che i capitoli più significativi del libro sono forse quelli capaci di delineare ciò che avrebbe potuto avvenire o essere e che, di fatto, non avvenne. Uno tra tutti l'incontro tra Joseph Cornell e Marianne Moore. Due anime solitarie che, troppo simili per rendersi felici l'un l'altra, si limitarono a una fitta corrispondenza decennale e morirono, a distanza di due mesi uno dall'altro, senza mai incontrarsi. Daniela Pagani
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