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I tredici testi poetici che Gilda Policastro presenta sotto il titolo polemico di "Inattuali" (cosa c'è di più inattuale della poesia, oggi?), si rivelano molto ambiziosi sia letterariamente sia ideologicamente. In che modo è ancora possibile praticare la poesia, ai giorni nostri? Senz'altro e solamente disattendendo il desiderio di leggibilità del lettore, disobbedendo alle aspettative del mercato, contaminando il testo a livello tematico e lessicale. Ciò si può e deve fare attraverso la decostruzione degli stereotipi letterari, e «in una relazione mobile, conflittuale, tormentosa» col presente, con la sua nevrosi generazionale e storica. Il rischio che corre una ricerca sperimentale come quella proposta è quello di «trasformare la poesia in un ambito di verifica permanente, il cui fine ultimo andrebbe a coincidere, nei casi peggiori, col testo in sé, non più col coinvolgimento o l'interesse del lettore». La scommessa verte quindi sulla possibilità di cercare una possibile comunicazione con chi legge, sperimentando nello stesso tempo nuovi linguaggi, più contaminati col gergale, smontando e ricombinando stili diversi. Non troviamo solo inserti di parlato quotidiano, in queste poesie: recuperiamo anche cadenze sanguinetiane, terminologie specifiche dell'informatica e della linguistica. E ancora, citazioni colte, riesumate però con una sorta di ironia e autoironia per l'intellettualismo di maniera. Il richiamo al nostro sconfortante presente (con la mancanza di prospettive di lavoro per le giovani generazioni, le insulsaggini mediatiche, la violenza perpetrata sugli inermi, il ruffianesimo accademico), offre un quadro nerissimo dell'oggi, rivelando un pessimismo inconsolabile proiettato sul futuro individuale e collettivo. La poesia non è in grado di offrire soluzioni, nella sua assoluta inattualità e inutilità: Policastro la utilizza con scaltrezza come puro scandaglio interiore e trapano critico di una società disumana, fagocitante, sfrontatamente impoetica.
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