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A Erik Kriek, è evidente, piacciono i posti bui. Dopo il fortunato Da altrove e altri racconti ispirato a Lovecraft, eccoci adesso “in the pines, where the sun never shines and we shiver when the cold wind blows” (“nella pineta, dove il sole non splende mai e noi tremiamo quando soffia il vento freddo”, versi da un brano del repertorio folk americano, Ndr). Il fumettista olandese attinge stavolta al patrimonio (vecchio e nuovo) delle folk songs americane per tornare con la memoria a uno dei luoghi più suggestivi dell'immaginario USA: la Deep America gotica, rurale, violenta e disperata che affolla le murder ballads di fine '800, ma anche quelle di autori come Johnny Cash e Nick Cave. Storie insomma di amori proibiti e poveracci impiccati, di ubriaconi e tradimenti, di sfortuna e ingiustizia, razzismo e morte... Il tutto in chiave rigorosamente “premoderna”.
È un patrimonio che ben si addice alle matite di Kriek, che ricordano da vicino lo stile neovernacolare di certo underground a stelle e strisce (o di illustratori come Art Chantry e Chris Coop, per capirci) che mescola pop “basso” e un certo gusto per lo strano, il deforme, il bizzarro. Le murder ballads rivisitate da Kriek sono in tutto cinque, e tra queste anche la mitica, tragica Pretty Polly che tra le altre cose ispirò il Woody Guthrie di Pastures of Plenty e da lì il Morricone western. Perché la Deep America non è detto che stia solo oltreoceano.
In the Pines non è solo il titolo dell’album di Nick Cave ma è anche una strabiliante raccolta di cinque storiche murder ballads, che qui non vengono solo raccontate ma prendono vita grazie al tocco inconfondibile di Erik Kriek.
Prima di iniziare la lettura di quest’antologia è bene sapere a cosa di va incontro: le ballad sono sottogeneri della ballata tradizionale del folk americano, mentre “murder” sta a indicare la tematica che distingue le storie, ovvero la morte. Le cinque storie che qui vengono raccontate sono storie di omicidi, e sono raccontate da diversi punti di vista, a volte la vittima, a volte il carnefice, ma nonostante questo nessun particolare della storia viene lasciato al caso. Nessun dubbio quindi sull’assassino o sul movente che l’ha spinto all’ignobile gesto, è il caso di dire che in questa cupa raccolta tutti i nodi vengono al pettine. La particolarità che più mi ha colpito di queste ballads riadattate graficamente è che ognuna è caratterizzata da un colore predominante, questo permette di generare diverse emozioni nel lettore seguendo la cromoterapia.
- Pretty Polly and the Ship’s carpenter (la bella Polly e il carpentiere di bordo) – verde Ballad reinterpretata da più artisiti.
Una storia d’amore tragica, dove la bella Polly cade vittima del carpentiere di bordo, ma in ogni modo riuscirà ad avere la sua vendetta.
- The long black veil (Il lungo velo nero) – viola
Scritta nel 1959 da Wilkin Mari e Danny Dill
Un tradimento d’amore che termina con la vergognosa punizione dell’amante per un crimine che non aveva commesso, un amore forte che supera i confini della morte.
- Taneytown – giallo Evento reale riscritto da Steve Earle.
Un ragazzo incompreso costretto dalle circostanze a un ignobile gesto che si porterà dietro per sempre.
- Caleb Meyer – blu Scritta da Gillian Welch.
La più straziante delle cinque, Nellie Kane bella e sensibile, viene stuprata nel bosco ma riesce a mettere fine al suo tormento. Non sa però che il seme di quella violenza sta crescendo dentro di lei.
- Where the wild roses grow (Quando crescono le rose selvatiche) – rosa
Due evasi di prigione incontrano una giovane donna nel bosco, uno finge di innamorarsi di lei solo per raggiungere il bottino nascosto, Wild Rose però è molto di più di un bel faccino sorridente.
Erik Kriek classe 1966 nasce, studia e lavora ad Amsterdam dove vince il premio dell’associazione Stripschool che lo conferma tra i migliori fumettisti olandesi. Popolarissimo in patria sfonda i confini europei nel 2012 con l’adattamento a fumetti diLovecraft, in Italia sempre edito da Eris.
Per In the Pines Erik si ispira a cinque popolari ballate americane, vista la loro breve durata l’autore ha dovuto arricchire la narrazione di dettagli in linea con il suo stile grottesco e pieno di incubi. Il risultato è un’opera d’arte a sé, fumetto e musica si fondono nelle mani di Erik dando vita a qualcosa di unico.
La grafica dell’albo è curata fin nei minimi dettagli, a cominciare dalla primissima pagina che si apre con un frammento di una canzone folk immersa in una pineta. Tutte le pagine dove non sono presenti le tavole delle storie sono caratterizzate da queste sagome di pini che si innalzano nella pagina, questo se volete insignificante dettaglio permette invece al lettore di immergersi a pieno nell’ambientazione delle storie. Aprire questo volume è come entrare in un bosco sperando di trovarne l’uscita. Tutte le storie hanno come ambientazione appunto un bosco, conferendo un filo conduttore tra le storie necessario secondo me in un’antologia. Il tratto di Erik è singolare e molto intenso, ricco di particolari che fanno emergere tutte le emozioni dei personaggi e tutti i dettagli dei paesaggi. Uno stile unico nel suo genere che conferisce alla narrazione un’intensità emotiva che raggiunge i limiti dell’inquietudine.
Il mio consiglio è quello di sedervi alla fresca ombra di uno di questi pini, per ascoltare queste storie lontane che sicuramente non dimenticherete.
Recensione di Francesca Magni
Il folk è una ballata di morte e fumetto
“Tra i pini il sole non splende mai e trascorro la notte intera a tremare di brividi mentre soffia un vento gelido.” In the Pines, la canzone popolare americana di fine Ottocento racconta questo: di una persona che chiede a una donna oscura, nera, misteriosa dove abbia dormito quella notte perché nell’aria c’è un forte sospetto di omicidio.
Mi piace raccontarvi questa storia mentre sono qui, a girare intorno a Seattle dove proprio di questa murder ballad nei primi anni Novanta ne nacque una versione decisamente più moderna e, se possibile – come disse sconcertato Neil Young dopo averla ascoltata -, più licantropa e spettrale. Quella dei Nirvana.
In the Pines diventò allora, per tutti quelli che l’avevano ascoltata su MTV e poi a ripetizione negli anni a venire, Where Did You Sleep Last Night, una ballata grunge dove i pini avevano smesso di fare ombra sin dal titolo ma avevano di certo mantenuto e altresì moltiplicato il senso di struggimento e sinistra malinconia che porta con sé la forma verbale to pine. Non è questo in fin dei conti il valore, il potere della della tradizione popolare? Perdurare nel tempo senza perdere efficacia narrativa e tuttavia acquisire connotazioni sempre diverse, capaci di unire alla lingua eterna della storia un altro linguaggio, un altro vocabolario, tipico – questo – delle diverse epoche storiche.
Oggi, ad esempio, la ballata suona di nuovo e suona in forma di fumetto. In the Pines, infatti, è il titolo di un graphic novel dell’artista olandese Erik Kriek (recentemente pubblicato in Italia da eris) che per il suo progetto narrativo ha scelto un approccio biforme: raccontare cinque ballate di morte tipiche della tradizione anglosassone attraverso un disegno dinamico e oscuro, rimanendo sì fedele alla narrazione originale ma allo stesso tempo arricchendo ogni storia di prospettive nuove, nuove relazioni tra i personaggi, esiti diversi, finali inediti. E soprattutto scegliendo per ognuna di esse un colore predominante diverso: Pretty Polly and the Ship’s Carpenter è verde acido, The Long Black Veil è lilla, Taneytown è ocra molto chiaro, Caleb Meyer è celeste, Where the Wild Roses Grow è rosa antico. Come risuona senz’altro al vostro orecchio, i titoli delle cinque ballate a fumetti sono anche i titoli che, una volta finita la lettura, diventano chiavi di ricerca di Youtube per prolungare la storia all’indietro, là dove è nata. In musica.
Murder Ballads? Ma non è l’album di Nick Cave? Sì, ed è un gioiello del genere, ma il termine significa molto di più. Le Murder Ballads rappresentavano (e rappresentano tuttora) una parte importante del Great American Songbook – l’antologia non ufficiale della musica popolare – e un sottogenere della ballata tradizionale. I testi delle ballate trattano sempre di un omicidio, ma la forma in cui la storia viene raccontata è molto variabile. A volte presenta il punto di vista del killer, a volte quello della vittima, più spesso però quello di una terza persona che osserva: il narratore o cantante. Il corso del dramma è multiforme, ma spesso l’assassino non sfugge al suo destino: l’uomo, o la donna, finisce sulla forca o dietro alle sbarre. Il cantante chiude con un appello morale: non farlo, guarda come va a finire!
La postfazione del giornalista Jan Donkers chiude il libro raccontando la storia di ognuna delle cinque ballate e il loro significato nella tradizione. È una postfazione importante, una sovrannarazione che rende omogenee le precedenti e le lega al passato, al futuro e alla potenza archetipica di un disegno che, tavola dopo tavola, annulla in modo inquietante qualsiasi legame con il tempo e con la contingenza. Inclusi tempo e contingenza del lettore, la cui esperienza dentro In the Pines non solo è misteriosa e sinistra ma anche totalmente immersiva, quasi sovrannaturale. Come se in mezzo ai pini ombrosi non ci fossero solo personaggi di fantasia ma anche inconsci riflessi di noi stessi.
Recensione di Marta Ciccolari Micaldi
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