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Jacob Taubes è una delle figure più singolari della cultura tedesca del nostro secolo. Ebreo di origine, ha insegnato storia e filosofia delle religioni negli Stati Uniti; quindi ermeneutica e giudaistica a Berlino. Qui ha partecipato attivamente al movimento studentesco del ’68, creando grande scandalo all’interno dell’Accademia. Pur essendo venuto in contatto con le maggiori personalità della cultura europea di quegli anni (Kojève, Scholem, Blumenberg, ecc.), trascorse l’ultimo periodo della sua vita in estrema solitudine, circondato soltanto da pochi amici.
La sua ricerca è sempre volta a cogliere il nesso tra teologia e politica. In questo orizzonte si colloca il suo interesse per quelle correnti religiose dei primi secoli del cristianesimo – come l’apocalittica mandea, il manicheismo, e quindi la gnosi, di cui è stato uno dei più brillanti studiosi di questo secolo – con cui l’occidente cristiano ha fatto sommariamente i conti, tacciandole, fin dal loro sorgere, di eresia. A parte la tesi di dottorato, dal titolo Escatologia occidentale, Taubes non ha mai scritto un libro vero e proprio. Ha lasciato piuttosto che la forza del suo pensiero si esprimesse attraverso la parola viva, il discorso. Questo è ciò che rende ancor più preziosa la raccolta di scritti occasionali su Carl Schmitt qui pubblicati, che è anche il primo libro di Taubes tradotto in italiano.
Taubes, ebreo, non nasconde il problema del fascino che il nazismo esercitò su Schmitt (così come su Heidegger). Anzi, cerca di comprenderne le ragioni, proprio attraverso il confronto incessante con la sua opera. Il pensiero di Schmitt viene illuminato scoprendone la parentela con Max Weber da un lato, con Walter Benjamin dall’altro, e ponendolo nel contesto della “guerra civile mondiale” di questo secolo. Ma ogni pagina di questa raccolta è anche da intendere come una rilettura insolitamente proficua della controversa categoria schmittiana amico/nemico. È questa la sfida forse più bruciante per un intellettuale ebreo, e Taubes se ne mostra pienamente all’altezza.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Due paralleli che si incontrano. Un confronto titanico.
Jacob Taubes è una delle figure più singolari della cultura tedesca del nostro secolo. Pur essendo venuto in contatto con le maggiori personalità della cultura europea di quegli anni (Kojève, Scholem, Blumenberg, ecc.), trascorse l’ultimo periodo della sua vita in estrema solitudine, circondato soltanto da pochi amici. La sua ricerca è sempre volta a cogliere il nesso tra teologia e politica. In questo orizzonte si colloca il suo interesse per quelle correnti religiose dei primi secoli del cristianesimo – come l’pocalittica mandea, il manicheismo, e quindi la gnosi, di cui è stato uno dei più brillanti studiosi di questo secolo – con cui l’occidente cristiano ha fatto sommariamente i conti, tacciandole, fin dal loro sorgere, di eresia. A parte la tesi di dottorato, dal titolo Escatologia occidentale, Taubes non ha mai scritto un libro vero e proprio. Ha lasciato piuttosto che la forza del suo pensiero si esprimesse attraverso la parola viva, il discorso. Questo è ciò che rende ancor più preziosa la raccolta di scritti occasionali su Carl Schmitt qui pubblicati, che è anche il primo libro di Taubes tradotto in italiano. Taubes, ebreo, non nasconde il problema del fascino che il nazismo esercitò su Schmitt (così come su Heidegger). Anzi, cerca di comprenderne le ragioni, proprio attraverso il confronto incessante con la sua opera. Il pensiero di Schmitt viene illuminato scoprendone la parentela con Max Weber da un lato, con Walter Benjamin dall’altro, e ponendolo nel contesto della “guerra civile mondiale” di questo secolo. Ma ogni pagina di questa raccolta è anche da intendere come una rilettura insolitamente proficua della controversa categoria schmittiana amico/nemico. È questa la sfida forse più bruciante per un intellettuale ebreo, e Taubes se ne mostra pienamente all’altezza.
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