recensioni di Marconi, S. L'Indice del 1999, n. 03
Chi ha letto un altro qualsiasi dei molti libri di Barbaro riconoscerà in questo
Impresa senza fine temi motivi ritmi e ambientazione. Il romanzo, infatti, si svolge principalmente a Venezia, città adottiva di Barbaro, da lui molto amata e raccontata: le orde di turisti, i veneziani commercianti arricchiti, il dialetto appena chiosato, le case cadenti e l'acqua onnipresente sono tutti incontri già fatti nei suoi moltissimi racconti lagunari. Non solo: il personaggio principale è un giovane che parla con lo stesso gergo del protagonista di un romanzo di Barbaro del 1995 (La casa con le luci, Bollati Boringhieri), ma lavora e si interroga come i personaggi dei suoi primi libri. Anche lui, come loro, si trova di fronte a un compito che sembra non avere fine, deve fare i conti con il rapporto tra la natura e l'uomo, si sente inutile e solo; anche a lui sembra che nessuno possa capire l'enormità del lavoro che gli è toccato. Ma, diversamente da loro, non deve costruire né dighe né ponti, non deve bucare montagne o creare laghi, non deve versare cemento da nessuna parte: deve semplicemente raccogliere immondizie. Stefano, che come Barbaro viene dalla campagna veneta, stufo di studiare storia con professori poco credibili e affaticato dagli espedienti per mantenersi nella carissima Venezia, inventa col fratello aspirante medico un'impresa di pulizie che gli cresce inaspettatamente tra le mani, facendolo schiavo e conquistandolo ai conti e alla fatica, nonché ai pensieri sul mondo invaso dalle cartacce, sull'Africa pattumiera dell'Europa, sul fatto che ormai è già stato costruito tutto e si tratta piuttosto di portar via, di eliminare, "problema nostro, prima volta nella storia del mondo". Venezia, dunque, come cornice; in mezzo un giovane che affronta il problema del lavoro che non c'è e poi - subito dopo - del lavoro che è troppo e che rischia di mangiarsi tutta la vita e poi ancora che non è più soltanto troppo ma è addirittura infinito, forse inutile e senza speranza. Un lavoro che lo mette inevitabilmente in contatto con mondi persone pensieri che altrimenti non avrebbe incontrato, un lavoro che diventa rischioso ma anche avvincente e forse persino insostituibile. Venezia, un giovane uomo che pensa, un lavoro che consiste nel salvare il mondo dall'invasione dei rifiuti, e attorno fidanzate parenti amici città e campagna viaggi lezioni universitarie un'immensa discarica di libri e un cimitero da trasformare in luogo della raccolta differenziata: sono questi gli ingredienti di un romanzo in cui, come sempre, Barbaro adopera il suo stile cadenzato da un ritmo ternario o binario, la sua lingua chiara e semplice ma attentissima e precisa, trascinandoci nei nuovi "cantieri di distruzione", in "gironi d'inferno o cieli del paradiso", dietro un impegno terribile e gigantesco, attraverso mucchi di rifiuti "come se fosse una composizione di esseri diversi, di parti diverse che possono sciogliersi e poi rimettersi insieme, appena passato il mucchio", per scoprire "che il senso delle cose (...) ormai sta qui, nelle scovazze-monnezze", in quell'impresa infinita che non si può più eludere, che ormai "ci tocca".