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La responsabilità sociale delle imprese? È come "mettere una ragazza attraente davanti a un'auto per vendere l'auto. Non lo si fa per promuovere la bellezza, ma per vendere l'auto". Non lo dice Joel Bakan, docente di diritto alla University of British Columbia e autore del noto saggio-film documentario The Corporation (Fandango, 2004): le parole sono del padre del monetarismo, il premio per l'economia intitolato a Nobel, Milton Friedman. Il brevissimo ma intenso saggio di Bakan (è la lectio tenuta nel 2005 per la manifestazione "Torino Spiritualità") vuole costringere una società, la nostra, a ripensare all'errore compiuto nel "creare un'istituzione legalmente obbligata a servire sempre e solo i propri interessi".Bakan pone in dubbio il concetto di corporate social responsibility, ricordando che per la corporation, l'obiettivo di creare "ricchezza per sé" è assolutamente prioritario. Così anche, anni fa, il segretario generale della European Round Table of Industrialists: non chiedetemi, scriveva (in H. Wallace e A. R. Young, Participation and Policy-Making in the European Union, Clarendon Press, 1997)di occuparmi di temi ambientali o sociali; solo di produrre ricchezza. Ma nell'era della globalizzazione finanziaria, l'"impresa irresponsabile" (Luciano Gallino, Einaudi, 2005) serve esclusivamente gli interessi dei suoi azionisti; difficile immaginare che sia responsabile socialmente. A meno che, ovviamente, ciò non sia nel suo stesso interesse. Il concetto di "interesse pubblico" è ormai un ossimoro: la società, spiega Bakan, avrebbe tutto l'interesse, appunto, ad approfondire il dibattito e tornare ad affermare le priorità e i principi delle istituzioni democratiche. Purtroppo ciò avverrà unicamente per vie conflittuali. Ha ragione Friedman, verrebbe da dire: i produttori di bellezza, come Adriano Olivetti, non ci sono più.
Mario Cedrini
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