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Pare a Jordan che ai nostri giorni serpeggi una certa qual "'intossicazione' genetica". Nel suo libro, il genetista francese indaga su alcuni aspetti dell'interazione fra genetica e società. Il discorso - che spazia dal tema del determinismo biologico alla divulgazione delle scoperte, dal rapporto fra diagnosi e terapia genica all'eugenismo, dalla discriminazione genetica in ambito lavorativo e assicurativo al ruolo sociale attuale del concetto di ereditarietà, ecc. - è volto a smascherare imposture (e "impostori": qui si va dai media alla ricerca dello scoop sensazionalistico, fino agli scienziati-imprenditori che puntano a un incremento del corso dei titoli delle loro imprese), che l'autore denuncia come non soltanto infamanti, ma anche socialmente pericolose. Il libro assume così grande interesse, oltre che per il biologo, anche per lo studioso di scienze sociali e per il bioeticista.
Su due aspetti centrali è qui opportuno soffermarsi: il primo è che, secondo Jordan, circola una certa "confusione di fondo" intorno al rapporto che realmente intercorre fra genotipo e fenotipo; il secondo aspetto ha a che fare con il bisogno "fisiologico" del nostro assetto sociale di attribuire un peso quanto possibile maggiore all'ereditarietà. Incominciamo dal primo punto. È chiaro che il genotipo ha un'influenza molto stretta sul fenotipo; ma la relazione fra le due entità "solitamente non è né univoca né strettamente causale": esiste "un margine di incertezza" nel processo, tendenziosamente interpretato come predeterminato, che porta ad esempio dalla mutazione, attraverso la produzione di una proteina anormale, fino alla disfunzione e alla malattia (genetica) vera e propria. Le incognite sono molteplici: secondo Jordan, occorre classificare come sicure fonti di variabilità il "contesto genico" (anche relativamente alle patologie cosiddette monogeniche), in quanto l'effetto di un'alterazione dipende anche dall'attività di molti altri geni presenti, dallo sviluppo embrionale e dall'ambiente naturale e sociale nel quale l'organismo si trova a vivere.
Dicevamo poi che le radici di questa tendenza al determinismo affondano almeno in parte in un bisogno del nostro assetto sociale. Questo appare a Jordan caratterizzato dal connubio, instauratosi negli ultimi decenni del secolo XX, fra "dominio genetico" e modello socio-economico consumistico e individualistico. Da un lato, infatti, la biologia (e soprattutto la genetica) ha preso a dominare la scienza di fine secolo. Dall'altro lato, in questo torno di anni si è passati da una visione "plastica" della natura umana, aperta alle influenze derivanti dalla società e dall'educazione, a una visione indirizzata invece sempre più dall'idea di un destino inscritto nella costituzione genetica - una visione in qualche modo deresponsabilizzante e liberatoria. Ciò in quanto il binomio consumismo-individualismo impone alla società di lasciare da parte i principi di solidarietà umana e di "liberarsi da ogni responsabilità per quanto riguarda lo sviluppo degli individui". E proprio qui genetica e "ideologia" si incontrano: la biologia sembra offrire una giustificazione scientifica e indipendente delle (vecchie e nuove) disuguaglianze, sollevando così la società dal peso di una responsabilità altrimenti assai gravosa. Già, perché in fondo "Cosa vi è di più 'scientifico' di più preciso, di più oggettivo di un'analisi del Dna che svela una sequenza genetica diversa dalla versione 'normale'? Cosa vi è di più allettante del fondare su quest'informazione inconfutabile una classificazione delle persone, una valutazione dei premi assicurativi, una selezione professionale? Cosa vi è di più comodo del fare sistematicamente riferimento alle malattie genetiche più importanti e far discendere tutte da queste?".
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