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La descrizione fisica del mondo poggia su tre costanti fondamentali: la costante di Planck, la velocità della luce e la costante gravitazionale di Newton. Mentre il primo di questi parametri rappresenta una vera novità della fisica moderna (essendo alla base della teoria quantistica), gli altri due sono in realtà già presenti nella fisica classica. Tuttavia, è con la relatività einsteiniana (ristretta e generale) che la velocità della luce assurge a costante universale, indipendente dal sistema di riferimento, e la costante di gravità viene associata alla geometria stessa dell'universo. Si può dunque tracciare la storia della fisica novecentesca adottando come angolo visuale proprio quello delle costanti fondamentali di natura. È ciò che fanno molto bene Uzan e Leclercq, a partire da una recente analisi astrofisica che sembra intaccare il solido edificio delle costanti, mostrando che alcune di esse potrebbero avere avuto valori diversi in un passato remoto. L'effetto è piccolo (una variazione di un centomillesimo in dieci miliardi di anni), ma, se confermato (i risultati sono finora piuttosto contraddittori), mostrerebbe che la fisica è, in un certo senso, cambiata (sia pure lievissimamente) nel corso della storia dell'universo. Un'idea, questa, che ha un padre illustre, Paul Dirac, e un'origine vagamente numerologica, ma è stata poi incorporata in una serie di teorie cosmologiche, che, per quanto piuttosto speculative, hanno il merito, da un lato, di permettere interessanti verifiche di alcuni principi generali, dall'altro, di far luce sul ruolo delle costanti di natura nella comprensione della realtà fisica.
Vincenzo Barone
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