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recensione di Cresto-Dina, P., L'Indice 1992, n.11
Il saggio nacque nel 1906 nel contesto delle celebrazioni per il centocinquantesimo anniversario della nascita di Mozart. Arricchito in seguito di un'ampia sezione introduttiva, fu pubblicato a Berlino nel 1915 quale approfondimento e chiarificazione dell'"Estetica del sentimento puro" (1912), terza ed ultima parte del sistema della filosofia di Cohen.
Thrasybulos Georgiades ha magistralmente chiarito come l'unità stilistica cui perviene il linguaggio musicale del classicismo viennese sia il frutto di procedimenti costruttivi fondati su un nuovo rapporto tra musica ed azione. Qualche decennio prima Cohen aveva già posto, da una prospettiva essenzialmente filosofica, la domanda circa la capacità della musica di impossessarsi dell'agire che è peculiare dell'uomo. Proprio tale interrogativo è posto al centro di questa breve, ma densa indagine.
L'unità dell'azione drammatica, manifestando l'unità del volere e chiamando in causa la stessa libertà spirituale dell'uomo, riconduce alle soglie dell'etica. A questa connessione sembra dare voce l'arte drammatica di Mozart. È vero che l'opera mantiene con l'ambito etico una relazione peculiare: non avendo nella concettualità del linguaggio bensì nella musica, il proprio materiale primario, deve attenersi a un aspetto particolare del dramma, l'amore, sentimento puro mai totalmente assimilabile al procedimento aritmetico di una deduzione etica. Ma l'amore è qui contemplato come azione drammatica, capace in quanto tale di rinviare agli altri "orientamenti della coscienza" ed in particolare ai concetti morali connessi alla sfera dell'azione. Se l'origine platonica del concetto coheniano di "amore" non impedisce la sua declinazione nelle forme della sensualità, ciò avviene in quanto è la vicenda amorosa a possedere una sua costitutiva drammaticità e dunque un rapporto essenziale con il problema dell'unità morale dell'uomo.
Così, se per Belmonte e Konstanze l'amore è ancora quello "puro e innocente del mondo cavalleresco", che intrattiene con il problema morale una relazione soltanto implicita, nelle opere della maturità, e in particolare nel "Don Giovanni", la passione straordinaria, forza originaria e distruttrice, è al tempo stesso il vincolo che tiene l'uomo a contatto con la moralità, anche se in modo sempre incerto e rischioso. Si può riconoscere in questa idea l'esito novecentesco di un motivo romantico: si tratta di una linea interpretativa sostanzialmente divergente rispetto a quella, più nota, di ascendenza kierkegaardiana: alla lettura del personaggio nella chiave dell'immediatezza sensuale si contrappone in Cohen l'ipotesi di una dimensione morale di Don Giovanni, di una "dignità dell'animo umano peccaminoso" (p. 97) testimoniata dall'unità di un'azione drammatica, dalla perfezione di un carattere estetico. Se l'azione drammatica deve avere come presupposto la propria unità, essa ci riconduce imprescindibilmente all'uomo. " Esclusivamente l'uomo è l'oggetto di tutte le arti, l'uomo nella sua doppia natura, di anima e di corpo" (p. 33).
L'esigenza di garantire il rapporto del bello con la conoscenza e la moralità induce il filosofo a considerare il sublime come un concetto subordinato, una delle due possibili direzioni del bello stesso. All'altra direzione Cohen dà il nome di humor. Si collega allo humor, elemento essenziale ad ogni vera grande arte, l'idea di una risoluzione della tensione instaurata dal sublime. Se quest'ultimo esprime la tendenza all'infinito o il compito dell'elevazione del finito all'infinito, vi è nello humor un aspetto, per così dire, conclusivo, una sorta di realizzazione estetica dell'infinito nel finito, mediante la quale la natura diviene specchio della moralità.
L'intensa duplicità dei motivi fondamentali vive ad esempio nel conte d'Almaviva, personaggio nel quale "Mozart" ha infuso ambedue le anime, quella comica e quella tragica", e si ripresenta, in modo più complesso, nella coppia Don Giovanni-Leporello. In questa capacità di concepire l'unità dell'azione quale risultato delle opposizioni che la compongono Cohen scorge la profonda affinità del genio di Mozart con quello di Shakespeare. Proprio nel dramma shakespeariano - è questa una delle tesi centrali del saggio - Mozart seppe cogliere l'idea stessa del dramma. Anche in questo caso non ci troviamo di fronte ad un motivo del tutto originale, se si considera la relativa diffusione che l'accostamento tra i due autori conobbe fin dai primi decenni dell'Ottocento. È tuttavia rilevante il trattamento che tale motivo assume all'interno dell'estetica di Cohen. Alla base della ripresa coheniana del parallelo con Shakespeare - osserva Stelio Mazziotti nella postfazione - vi è infatti l'assunzione del valore estetico dell'umorismo: "nella drammaturgia di Shakespeare e poi di Mozart i caratteri non sono esemplificazioni univoche di un concetto (come per l'opera di Gluck), ma, grazie proprio alla mescolanza di elementi tragici e comici, sono indivisibili unità e forze vitali; non figure del destino, ma fisionomie del vivente".
L'importanza accordata al tema dello 'humor' si deve da un lato all'esigenza di opporsi ad ogni "estetica del sublime" di impronta romantica, mentre si ricollega dall'altro al tema dell'umanitarismo, che Cohen elabora soprattutto in riferimento alla tradizione tedesca. Proprio il richiamo a questa tradizione consentiva al filosofo di riconoscere il carattere fondamentalmente antirousseaniano della 'Zauberflote': non l'opposizione, bensì l'armonia di natura e cultura. Solo in questo contesto di significati risulta per noi comprensibile l'auspicio, che Cohen formulava in apertura, affinché lo scritto potesse essere accolto "come un fiero messaggio di libera e devota fede verso la specificità dello spirito tedesco". Motivo che non può non apparire fastidioso a quanti - a torto o a ragione - abbiano oggi costruito la propria immagine mozartiana sull'idea di un linguaggio universale capace di evocare utopicamente la comunicazione delle culture.
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