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Il libro riunisce saggi usciti, in altra versione, su riviste. Trovarli raccolti, nel loro stile piano ma vibrante, aiuta a mettere a fuoco l'interessante ipotesi "cromatica" di Collini su romanticismo e modernità. Preannunciato dal Werther, romanzo fintamente epistolare e di fatto "monologico", il topos invernale - buio anziché luce, bianco anziché colore - si ritrova nelle pitture di Caspar David Friedrich, nel Lenz di Büchner, in Coleridge, in Heine, nella Winterreise di Wilhelm Müller, musicata da Schubert, nel viaggio al polo del Gordon Pym di Poe e nella "tabula rasa" della poesia del Novecento (vedi Benn e Celan). L'arte cerca rifugio dalla mercificazione dell'era industriale nel congelarsi, o nella non iconicità della musica. Ma fuga dall'immagine non è antitesi di culto dell'immagine: idolatrate e aborrite figure dell'immaginario accompagnano il confluire, quant'altri mai dialettico, del romanticismo nell'arte informale, preconizzata nel quadro "bianco" del Chef d'oeuvre inconnu di Balzac. A contrapporsi al brave new world industrializzato è il flâneur, l'errante angosciato e affascinato soprattutto dalle creature a metà fra umano e inorganico, uscite dalle sue stesse mani - uomo dal cuore di pietra, automa, bambola Olimpia, Frankenstein - perché sono ciò che lui stesso sta diventando. Una conferma dell'interpretazione "cromatica" di Collini c'è, direi, anche nel famoso film Blade runner (1982), dove una metropoli immersa in perenne pioggia e caligine è minacciata dagli androidi, e sin nell'ultimo poemetto di Grünbein su Cartesio (Della neve, 2003).
Anna Maria Carpi
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