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Forse è l'unica, sicuramente è la più completa raccolta fotografica, di un tenente diventato reporter, riguardante i campi di prigionia per gli I.M.I. Andiamo per ordine: 8 settembre 1943, armistizio, non combattiamo più con i tedeschi per l'impero romano e altre buffonate fasciste, ma con gli alleati. Il re e pochi altri. salvano il proprio fondoschiena fuggendo a Brindisi, lasciando intere armate alla mercé dei tedeschi, di cui alcune sperse chissà dove. Tedeschi che finalmente si mostrano per ciò che sono: invasori fomentati da invasati con le mostrine. Tra i nostri soldati è lo sbandamento: chi fugge, chi si arma e intenta la prima resistenza, chi decide di continuare perché forse non ne aveva abbastanza, per ultimo chi verrà catturato e deportato nei campi di prigionia (Oflag per gli ufficiali, Stalag per le truppe, tra cui mio nonno). Non furono neanche chiamati prigionieri, per non fargli reperire dalla Croce Rossa, generi di sostentamento e medicinali di base, bensì Internati Militari Italiani, parolone sintetizzabili in schiavi. Schiavi nel trattamento che subirono, nelle baracche dove dormivano al freddo, nei servizi carenti di acqua, nel cibo che aggettivarlo con scarso, sarebbe da ipocriti, nel vestiario che non arrivava, nelle lettere censurate e chissà cos'altro. Con questo libro si vedrà tutto ciò, attraverso gli occhi di un tenentino di fanteria, geologo e fotografo per passione, che riesce con incredibili strattagemmi a portarsi dietro e a tenere nascosta per tutta la prigionia una Zeiss Super Ikonta, con la quale documenta l'inferno giornaliero. In questo libro ci oltre 120 foto delle 400 scattate durante la guerra, una mappa dei campi di prigionia sparsi in Germani e Polonia, e l'itinerario della deportazione e successivi spostamenti. Dei paragrafi differenziano le foto per situazioni e tempistiche, mentre delle brevi note spiegano le foto, i luoghi e danno un nome ai tanti volti sporchi. Consigliato? No, DOVUTO, a tutti loro.
Anche mio padre fu tra gli IMI che scelsero di restare prigionieri dei tedeschi, rifiutando di ritornare in Italia, e sopportando fame, freddo, patimenti ancor maggiori di quelli che descrive Vialli, essendo un sottufficiale. Ma quello che è straordinariamente pazzesco nel comportamento di Vialli è l'aver fatto oltre 450 fotografie nei v ari campi, portando in Italia al ritorno decine di rollini da far sviluppare. Il tutto rinunciando anche al poco cibo in cambio proprio di questi rollini. Ed editando con ogni stratagemma di farsi trovare addosso la macchina fotografica. Interessante è anche la storia della "famosa" radio: la Caterina funzionò grazie all'ingegno di pochi ufficiali italiani usando tutto materiale di scarto, ma portando la voce dell'esterno del campo. Anche questo sarebbe un libro da portare nelle scuole superiori, per non perdere la memoria di quanto successo poco più di settant'anni fa.
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