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"Hair" è stato un grande musical degli anni sessanta. Nato nell'ottobre del 1967, approdò l'anno successivo a Broadway. Anni accesi, alternativi. Rottura di schemi della cultura dominante. Opposizione alla guerra nel Vietnam. L'opera hippie voleva essere provocatoria, per i contenuti e per le forme sceniche che smontavano i canoni consolidati del palcoscenico. Ebbe un successo planetario. La mitica "Acquarious", per anni tra le canzoni più ascoltate al mondo, è tratta appunto dal musical. Nel 1979 Milos Forman ne trasse un film, come si conviene agli eventi simbolo di un'epoca. Quindi è comprensibile che "Hair" sia il simbolico titolo che Nicky Persico ha scelto per il suo primo libro di poesie. Un bel libro. Attuale, nel messaggio di pace che già dalla copertina abbraccia gli occhi e la memoria. Ricordandoci che quel simbolo è ancora una meta. Non raggiunta, nel Mediterraneo e nel mondo intero. Ma a volte forse neppure con noi stessi. E vuole dircelo, con l'impronta del pollice e con le parole che in alcune pagine sono musica. Componimenti che sfuggono alla scansione tra la poesia e la prosa. Ascoltandoli alla presentazione ho ricordato l'affermazione di Carmelo Bene, quando definiva la poesia come l'abisso che scinde orale e scritto. Ambizioso, puntando a destrutturare la forma classica della raccolta di versi. Perché Nicky accantona maiuscole e punteggiatura. Toglie alle pagine il numero. Presenta i componimenti senza neppure un titolo. E' grande la sua voglia di dare al lettore il ruolo di protagonista. Di confrontarsi con lui, invitandolo a riconoscersi nelle parole che gli offre. Nelle situazioni, nelle emozioni, nei sentimenti. E nelle riflessioni. Saremo noi a dare un titolo alle poesie. A numerare le pagine. A ricordare quel pomeriggio di pensieri o quella notte di veglia. Quel volto, quel sorriso. Quei passi che si allontanano. Oppure quella speranza che anima i nostri risvegli. Quella fiducia che conforta le nostre paure.
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