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In queste pagine, che illuminano gli anni più folgoranti di Martha Gellhorn, la sua voce si intreccia con quella di Lilli Gruber. Raccontando, di battaglia in battaglia, la bellezza e la responsabilità del giornalismo in un tempo che ha più che mai bisogno di verità.
«A Martha Gellhorn», recita la dedica della prima edizione di Per chi suona la campana, il capolavoro di Ernest Hemingway. Tutto qui, un nome e un cognome: quelli della più grande corrispondente di guerra del Novecento. La donna che con Hemingway ha mosso i primi passi da giornalista sul campo, nel 1937, a Madrid sotto le bombe. Che presto è diventata più brava di lui nel mestiere di raccontare i fatti. Che lo ha amato, sposato, lasciato, in un'appassionata storia d'amore tinta di rivalità. E che per tutta la vita ha avuto una sola missione: «Andare a vedere». I reportage rigorosi e avvincenti di Gellhorn coprono i fronti più caldi del secolo breve: è stata sul confine della Finlandia durante l'invasione russa (trovando il tempo per una cena con Montanelli) e accanto alle truppe alleate a Montecassino; è stata la prima reporter donna a sbarcare sulle spiagge della Normandia e poi a entrare a Dachau liberata dagli americani. È andata in Vietnam, decisa a smascherare le menzogne della propaganda ufficiale Usa. Una carriera attraversata dalla gloria e dalla tragedia, segnata dalla solitudine delle donne indipendenti e controcorrente. Oggi le guerre sono cambiate, l'ingiustizia ha preso altre forme, ma nessuno dei problemi contro cui Martha ha passato la vita a battersi è stato risolto. Sono sempre i più poveri, a cui lei ha saputo dar voce, a pagare i conflitti militari ed economici. Sono ancora le donne, come è successo a lei, a dover faticare di più per farsi strada, in guerra come in pace. In queste pagine, che illuminano gli anni più folgoranti di Gellhorn, la sua voce si intreccia con quella di Lilli Gruber, che interpella anche altri grandi corrispondenti. Raccontando, di battaglia in battaglia, la bellezza e la responsabilità del giornalismo in un tempo che ha più che mai bisogno di verità.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Bel libro, scritto bene. Lilli Gruber ci racconta la storia di Martha Gellhorn legandola anche a quella di altri inviati di guerra anche piu vicini a noi cronologicamente.Proprio quest'aspetto del libro l'ho trovato particolarmente interessante perchè mi ha fatto conoscere alcuni aspetti della vita dei giornalisti e dei meccanismi che legano la politica all'informazione che non conoscevo. La figura di Martha GellHorrn è tratteggiata con molto garbo e rispetto . La conoscevo come la terza moglie del grande scrittore Ernest Hemingway , e da alcuni scritti di Fernanda Pivano la sua figura di giornalista era rimasta in ombra. Il libro della Gruber mi ha mostrato una donna libera, coraggiosa e soprattutto molto capace come inviata di guerra , inoltre la scrittura piana ,ma molto precisa hanno reso la lettura piacevole e interessante.
Sinceramente mi aspettavo di meglio e di più. Di Martha Gellhorn si parla poco e anche con una certa distanza. Gruber ha infatti inserito testimonianze di altri report di guerra (compresa quella sua e del marito) e di altre guerre neanche coperte da Gellhorn. Noiosi e didascalici (se non del tutto inutili) i commenti che l'autrice inserisce qua e là riferiti alla vita della fotoreporter americana, che rendono ancora più freddo e distaccato il racconto. Ho avuto anche l'impressione che le abbia messo in testa e in bocca pensieri e considerazioni non sue. Insomma, non è una biografia di Martha Gellhorn, non è un libro sui reporter di guerra, non è un libro sulle guerre, non è un libro sul mestiere di giornalista visto dalle donne... Si salva per qualche aneddoto, qualche brano toccante, per il resto non aggiunge niente di più a quello che tutti sanno: che la guerra è un'esperienza atroce per la popolazione civile e per i soldati, che i reporter quelli veri rischiano la vita, che le motivazioni delle guerre sono diverse da quelle raccontate dalla propaganda, che oggi non c'è più il giornalismo di una volta. Il solito libro confezionato per i follower di Gruber, sfornato con cadenza precisa, in edizione pregiata (il tutto poteva essere contenuto in un libro in brossura da 100 pagine, usando un corpo più piccola e lasciando meno pagine bianche). L'ho letto perché me lo hanno regalato, non lo avrei mai comprato né cercato.
Molto interessante
Recensioni
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