L’orografia del mondo, a pensarci bene, ha sempre influenzato l’uomo sulla divisione di stati, popoli, religioni. L’uomo ha preso a pretesto la roccia e l’acqua quali migliori mezzi per affermare la propria sovranità su un territorio. I crinali, le dorsali, così come i fiumi, hanno da sempre creato divisioni. Io da una parte, tu dall’altra. Ma ci sono uomini che quel segno di divisione lo percorrono, chi lo naviga e chi lo scala, unendo due punti e potendo guardare da vicino o dall’alto quei due mondi diversi, riconoscendone le differenze e interpretandone le affinità. Mentre il navigatore scende verso il mare, l’alpinista, andando in senso contrario, punta alla vetta di una montagna partendo dal basso, conquistando quel mondo sospeso tra due mondi. Sia navigatore che alpinista, forse inconsapevolmente, sono portatori di pace, uniscono, anche solo con il loro sguardo, quei due versanti, dando a entrambi la stessa dignità, pur nella diversità. La cresta di alta montagna è la massima espressione di divisione, ma chi la percorre ha l’occasione di essere l’ideale simbolo di unione. Raggiunta la cima, punto di confluenza orografica di due versanti, l’alpinista si incontra con l’uomo dell’altro mondo, diverso ma uguale a lui, che per un’attrazione arcana ha percorso la cresta opposta. La cresta si contende con la parete la bellezza della montagna. In parete si è protetti ma esposti alla caduta di roccia e ghiaccio, in cresta si è esposti sul baratro ma protetti dai voleri della montagna. Due mondi allo specchio, dove finisce uno inizia l’altro. Parete: difficoltà, chiusura, senso di protezione. Cresta: esposizione, visione, vertigine. È condensato in queste ultime tre parole il senso di questo libro. Per Marco il lavoro di una vita, il simbolo del suo alpinismo, un percorso fatto sì di pareti ma soprattutto di creste, di questi fili di divisione che si condensano in un punto di unione. Un lavoro immane, meticoloso, importante, per dare un senso a una vita passata tra quelle rocce e quei ghiacci.
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