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Michele Cucuzza dà voce a Luigi Di Cicco ( figlio di un camorrista ergastolanoO che racconta la sua storia, dall'infanzia alla maturità. L'affetto del padre, nonostante la reclusione, l'esempio delle istituzioni (insegnanti, la leva obbligatoria...) unitamente alla non diffidenza del mondo esterno, nella fattispecie la famiglia della prima fidanzata e poi della donna che sposerà, faranno sentire al giovane che egli non è completamente solo. Ma soprattutto Di Cicco non ripercorre i passi del genitore, pur consapevole di potere avere accesso a molti privilegi e al "rispetto" dovuto al figlio di un boss,in quanto è convinto che il conto da pagare sarebbe troppo alto. Il libro è importante anche perché attesta l'emarginazione sociale della quale i parenti dei malavitosi sono oggetto: scansati dai coetanei, i cui genitori cercano di allontanare da famiglie contigue al malaffare, anche se il soggetto (figlio di camorrista) è soltanto una vittima di concause sfortunate. A fronte di un "rispetto" di facciata, esiste infatti una società civile che non approvando chi segue strade infide, tende a tenersi al di fuori da qualsiasi contatto con i "parenti di". Anche Michele Cucuzza non era al corrente dei trascorsi di Luigi Di Cicco: il giovane glieli ha rivelati quando tra loro si era già stabilita un'amicizia. Da qui è partita la richiesta di aiuto per un libro che è una importante testimonianza di riscatto, forse un po' retorica verso il finale; ma si tratta inevitabilmente dell'orgoglio di chi ce l'ha fatta, ottenendo dei lavori inizialmente non stabili, per poi approdare nella gestione a Civitavecchia di un bar ristorante contemporaneamente all'inserimento in una comunità diversa da quella di origine. Pure in un contesto di parenti di affiliati ai clan, sopravvivono valori come il rispetto degli altri, il matrimonio, la famiglia. E Di Cicco chiarisce verso l'inizio che negli anni Ottanta la malavita aveva un "codice" morale che adesso non è più rispettato.
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