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Maneggiare con cura, con estrema cura. Entrarci in punta di piedi, in maniera felpata, con gesti vellutati. Muoversi tra le pagine di Graffi (122 pagine, 15 euro), esordio letterario di Claudia Squitieri, edito da Capponi Editori, esattamente come si farebbe all’interno di un tempio. Questo perché le sue parole sono ricercate, meticolose, cesellate al dettaglio. Parlano al cuore prima ancora che alla mente.
La sintassi del libro evoca stati emozionali turbolenti, lacerazione dell’animo, ferite epidermiche che faticano a ricomporsi. Graffi appunto, abrasioni esistenziali. Quelle di Diana, bambina adottata che crescerà negli inevitabili sconquassi di una vita segnata, indissolubilmente, dal trauma dell’abbandono. Un dolore feroce che cercherà conforto nel rapporto epistolario con Serena, amica d’infanzia, proprio contraltare, sua proiezione emotiva. Nella ricerca della famiglia d’origine, nella difficile costruzione del rapporto con entrambe le madri adottive, nel complesso sforzo di trovare un proprio posto nel mondo, Diana sperimenterà quanto «…le persone sincere diventano bugiarde, i buoni propositi si trasformano in cattivi, i legami si stringono in lacci, la luce cede al buio e si gravita in un universo parallelo dove l’umanità lascia il posto alla ferocia».
La prosa di vigogna di questa autrice campana lascia interdetti per la precisione farmacistica con la quale seziona certi stati d’animo, pennellando la storia della protagonista attraverso lutti, trasferimenti, idiosincrasie verso relazioni artefatte, incompiute, non appagante da cui la stessa proverà ad affrancarsi, cercando innanzitutto di trovare se stessa prima che gli altri.
Recensione di Alessandro Orofino
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