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Una buona dose di comparazione non è disdicevole per quanti vogliano capire meglio realtà contigue e affini eppure abbarbicate talvolta a un senso d'identità. Marc Bloch scriveva che non c'è "conoscenza autentica senza una certa gamma di comparazione". Tenendo a mente questo criterio, qui si presenta una ricerca che studia gli svolgimenti urbanistici, i progetti architettonici, i piani edilizi di tre città medie, che plausibilmente tipizzano modelli urbani legati a un passato da rispettare, eppure sospinti, nel corso del ventennio fascista, verso una modernizzazione non pigra. L'indagine si divide in tre parti: nella prima si delineano i confini della regione analizzata, nella seconda ci si sofferma sui programmi politico-urbanistici promossi dalle amministrazioni e, infine, nella terza (Materia e simboli) si guarda alla "concreta modificazione dei modi di vita, lavorativi e abitativi". Ebbene: il sugo che si ricava dall'esplorazione è condensabile in poche righe. L'eredità più cospicua e caratterizzante delle operazioni volute dal regime è stata l'accentuazione classista nella disposizione degli spazi, con l'esilio in periferie ben dosate e controllabili delle classi meno abbienti. Parallelamente si manifestò una spasmodica attenzione nel dotare i centri di "nuovi spazi per la socialità", intonati con una dinamica linea di "nazionalizzazione delle masse" che faceva leva su sport e spettacoli, su fiere e folklore. Risale al famigerato ventennio, per Siena, Arezzo e Perugia, il processo più incisivo di modernizzazione, concretizzatosi in un serie di opere pubbliche che miravano a consolidare il consenso al sistema offrendo occasioni di sociabilità e servizi di cura, gradevolezza estetica e fruibilità collettiva.
Roberto Barzanti
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