Siamo ormai negli anni in cui Carlo aveva raggiunto l'età della ragione, della consapevolezza e della conoscenza delle vicende familiari. Alla Regina Sancia, senza figli e senza più nemmeno figliastri da allevare, non restò che dare l'anima a Dio. Il fermento religioso che l'animava in realtà frenò questo processo moderno, ma non fermò il progresso della vena artistica che chiedeva spazio in altri settori, e non solo a corte. Anche la sirocchia vedova d'Ungheria provvide, assieme alla nuora, alla commissione della tavola di Simone Martini, raffigurante san Ludovico di Tolosa che incorona Roberto, dipinta nel 1317, poco dopo la canonizzazione. Essa reca gli stemmi angioini e arpadiani di Maria al fine di promuovere il culto del figlio, e confermare agli ungheresi la legittimità della successione al trono di Sicilia del terzogenito Roberto. Ella stessa ordinò una statuetta d'argento raffigurante san Ludovico di Tolosa, recante la testa e la corona d'oro, per donarla alla badessa di santa Maria Donnaregina, Agnese Caracciolo. La statuina reggeva una reliquia del Santo in una mano, e lo scettro reale nell'altra. Ma questa affascinante biografia è su Carlo, il d'Angiò della progenie materna degli Svevi, Figlio di Jolanda d'Aragona e Duca Roberto, e perciò cugino a Sancia di Mallorca che ebbe per sua matrigna. Carlo è vicario del reame dalla morte del nonno, quando il padre Re Roberto parte per Avignone dove c'è l'incoronazione. Sullo sfondo del libro c'è catarsi nei costumi, la pomposità del vestiario pre-rinascimentale, mentre i parenti trattano la pace con la Sicilia e i d'Angiò consolidano i palazzi di Napoli scippatigli giorno per giorno dai Catalani che tengono prigionieri tutti i familiari.
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