Governance è un termine oramai molto diffuso nel linguaggio giornalistico. Il fatto tuttavia che il suo uso sia diventato quotidiano non ha eliminato una certa opacità di significato, anche per il lettore colto. In tale prospettiva il volume di Arienzo è uno strumento utilissimo e chiarificatore. Scritto con una prosa molto chiara e un'esposizione ordinata, esso prende le mosse da un approccio genealogico e giunge a un'argomentata proposta interpretativa. Partiamo allora dalla storia della parola e del concetto. L'uso novecentesco risale in particolare alla scienza politica statunitense degli anni sessanta e alla ricerca di un modello di amministrazione pubblica alternativo a quello gerarchico dello stato centrale: un sistema misto, pubblico e privato, per la gestione dei servizi pubblici, che avrebbe consentito maggiori efficienza e dinamismo rispetto a quello classico, basato sull'accentramento istituzionale. L'obiettivo della governance si delineava pertanto come la programmazione dei servizi e dell'amministrazione locale basata su tale organizzazione ibrida. Arienzo fa tuttavia riferimento anche a un altro dibattito teorico novecentesco nell'ambito delle scienze politiche e sociali: quello sulla cosiddetta corporate governance, vale a dire la gestione e amministrazione delle grandi corporations, nelle quali la diffusività dell'azionariato può per molti versi svuotare la proprietà del ruolo decisionale e amplificare quello del management. Sempre in ambito statunitense queste sono state altresì le coordinate fondamentali delle teorie sul new public management, incentrate sull'idea di adottare proprio l'organizzazione delle imprese come modello pubblico alternativo alla gerarchia e alla componente statalistica. Oggi il termine governance è utilizzato nel contesto istituzionale dell'Unione europea. Lo si applica inoltre alle politiche di "pacificazione, sviluppo e transizione o trasformazione democratica di vaste aree del mondo". Ma soprattutto, nello scenario politico contemporaneo, spesso descritto in termini di deficit democratico e di crisi dello stato, la governance è presentata come un modello di democrazia politica alternativo o complementare rispetto a quello basato sul governo rappresentativo: l'idea di fondo sarebbe di ampliare gli "spazi di decisione e di attuazione delle politiche" attraverso "la negoziazione diffusa tra interessi e gruppi di interesse". Il presupposto chiaramente è che le tradizionali mediazioni partitiche e parlamentari non consentono una deliberazione efficace e una piena partecipazione sociale al momento politico. Arienzo propende per un giudizio di parziale fallimento di tali pretese. A suo parere infatti la governance politica dimostra di non avere perso la sua storica connessione con l'economia: si rivela nuovamente come un sistema ibrido di gestione dei flussi "umani, di merci, finanziari". Lo Stato in realtà non è scomparso: è "attore tra attori di un perpetuo management economico dei flussi". Più che allargare e innovare gli spazi di partecipazione politica, la governance si presenta, in ultima analisi, in forma "neocorporativa", vale a dire come cooperazione tra grandi organizzazioni pubbliche e private per la regolazione politica dell'economia. Il rischio è dunque che essa conduca a un esito neo-oligarchico e tecnocratico. Giovanni Borgognone
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