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recensione di Marras, G.C., L'Indice 1992, n. 2
"Il Polifemo" di G¢ngora è uno dei poemi più discussi del barocco spagnolo; e tuttavia, nonostante le migliaia di pagine già scritte, presenta ancora zone da esplorare della sua "oscurità" antica. Enrica Cancelliere si propone, in questo saggio, di rintracciare i materiali diversi, rispetto a quelli prettamente letterari, che entrano in gioco nella "genesi delle forme simboliche" peculiari del "Polifemo", avvalendosi di sollecitazioni critico-teoriche di varia provenienza: dal modello hjelmsleviano al modello ellittico del "Barocco" di Sarduy, a Foucault e Lacan; dalle teorie pittoriche coeve agli studi sull'arte di Panofsky e dell'affascinante Baltrusaitis, fino alla "teoria delle catastrofi" di Thom.
Il progetto si articola in tre capitoli, il primo dei quali è una rassegna dei "sette campi delle metafore" rilevati nel poema. Qui, la Cancelliere indaga il complesso simbolismo di ciascun "campo" (colori, vegetali, animali, pietre, alimenti, nomi, suoni), mettendo in risalto la presenza di elementi che rinviano ad una concezione arcaica del mondo, a filosofie orientali, a figurazioni esoteriche di religioni diverse, oltre alle evidenti fonti del mondo classico. Interessante il recupero tenace della copiosa simbologia che si addensa nei singoli animali-metafora, relativi a Galatea-Polifemo-Aci, tutta volta ad esaltare il senso "cosmico" e "mistico" del luogo, dei suoi abitanti mitici, e del desiderio-passione che li travolge.
Più diretta, puntuale e stringente si fa, nel capitolo "Iconologie del Polifemo", la lettura della pratica poetica di G¢ngora in rapporto al linguaggio pittorico del suo tempo, "anche sul piano della tecnica della composizione". Della pittura barocca si riflette nel poema il gusto per il particolare autonomo e quindi la minuzia descrittiva dell'oggetto, dove si incontrano il mito, la figura, il gesto, insieme ai codici espressivi peculiari e alla simbologia ad esso riconducibile. La bisaccia di Polifemo diventa, così, "natura morta" dai toni caravaggeschi o del 'bodeg¢n' di Zurbar n; e la caverna del gigante, spaccatura della montagna e 'bostezo', sbadiglio di una terra intorpidita e sonnolenta, è anche tomba o sepolcro; è luogo misterico, biblico custode di un tesoro, è la sede della ben nota allegoria platonica ed altri simboli ancora. Sempre nell'ambito delle arti figurative, la Cancelliere individua nelle "poesie" pittoriche, di tema mitologico, che Tiziano aveva eseguito per Filippo II, il "testo" di immediata rispondenza alle intenzioni innovative di G¢ngora.
Analogo al 'furor pictoricus' che urge nelle tavole tizianesche sarebbe il 'furor poeticus' che soggiace al poema gongorino. Senza trascurare le altre direttrici di lettura, la Cancelliere procede quindi all'esame di tutte le ottave del poema, singolarmente o per gruppi, se richiesto dall'ampliamento del tema in più strofe, considerate come altrettanti 'tableaux', o "sintesi iconologiche". In esse, elusa la prospettiva centrica, sembra emergere l'ottica differita propria dell'ellissi, talvolta con decentramento recondito e deformante di tipo anamorfico. Un solo esempio nella quarta ottava, che segna l'inizio del poema, dalla visione panoramica dello spumoso mare siciliano, lo sguardo si sposta, restringendo il campo, fino ad individuare l'apertura rocciosa della dimora di Polifemo. Ma quella che potrebbe essere una intensa descrizione d'avvio alla fabula, diventa, nel corso dell'analisi, il luogo testuale di densità metaforiche, simboliche, rituali: il mare, la caverna, la fucina di Vulcano, la piana delle saline, escono dalla referenzialità testuale e rinviano, invece, ad una complessa loro "segreta liturgia".
All'interno di ciascuna "sintesi iconologica" - rileva la Cancelliere -, funziona inoltre un sistema di soglie "che determina il mutamento della dinamica dello sguardo, che nel nostro caso è anche un movimento della dinamica narrativa". La soglia rappresenterebbe, dunque, un taglio d'osservazione, il passaggio ad altro soggetto della pulsione scopica. La lettura dell'intero poema, così scandita e dettagliata, ha certamente una sua attrattiva, anche se si presenta come "spezzata" nei confini di ciascuna ottava, o singolo nucleo tematico. Forse, alla ricchezza di tanti rilievi, di suggestivi recuperi filosofico-religiosi, di attenta percezione degli stacchi prospettici, ben avrebbe corrisposto una risistemazione organica delle singole parti. Un 'tableau' d'insieme, per così dire, dove si ricomponessero le linee del complesso mondo poetico del poema, insieme al pur notevole lavoro d'indagine dell'autrice.
Nelle pagine conclusive, la Cancelliere delinea un possibile modello pittorico-matematico, atto a "rilevare il percorso scopico delle sei sequenze di cui si compone il poema", e che esclude "sia dal piano del contenuto che da quello dell'espressione ogni riferimento al tema narrativo della 'fabula' e alla sua tradizione, così come esclude ormai ogni riferimento alle iconografie codificate e ai loro contenuti tramandati". A tutto questo si sovrappone una struttura a due cornici, o soglie fondamentali del testo, insieme a una dinamica della visione, articolata per differenti tipologie e per differenti sintesi iconologiche. Il gioco speculare della doppia cornice (esterna, la dedica al "Principe", interna, le tre strofe che anticipano il "canto di Polifemo"), in definitiva genera il meccanismo della doppia prospettiva, a distanza oppure ravvicinata. All'interno di tali cornici si articolano le sei sequenze costitutive del poema: "Del Lilibeo", "nascita e fuga di Galatea", "della Sicilia devastata dal desiderio", "corteggiamento e amore di Aci e Galatea", "canto di Polifemo", "morte e trasformazione d'Aci", con variati sviluppi.
"La F bula" gongorina si configura dunque, per l'autrice, in termini di una "ellissi fatta di altre ellissi, che parte lenta e solenne, sembra sospendersi nell'immobilità e nell'assenza dinamica al centro del suo sviluppo, curva e acquista forza via via intorno al perno del canto polifemico, precipita veloce - alla lettera, ellitticamente - nel finale in cui si placa e che la riconduce al suo inizio". Potrebbe pur essere così, ma si può anche pensare con Jiménez Pat¢n (1604) che "la fabula... è un esempio fittizio i cui misteri, secondo Macrobio, sono molto reconditi, perché in queste finzioni non c'è un solo significato, ma molti, che anzi si potrebbe chiamarla Polifemo che vuol dire dai molti significati".
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