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In Robbe-Grillet quello che mi piace è l’assenza di rilievi psicologici. Sembra non ci sia nessuna differenza tra un tappeto verde e un uomo. Lo sguardo si posa indifferentemente su di loro. Se ne può scorgere un difetto, ma più che osservarlo (o descriverlo) non serve altro. Robbe-Grillet è come una cinepresa. Scorre, tocca qualche dettaglio, riparte. Ma la suspense resta: si mira al finale, che non è altro che un finale, pieno di ripetizioni. Bello! lo consiglio.
Tra gli anni 50 e gli anni 60 in Francia sono successe molte cose: il Nouveau Roman e la Nouvelle Vague, tanto per citare i due eventi cardine. Uno in letteratura, l'altro al cinema. Nessuno dei due ben definibile, o sì definibile ma solo fino a un certo punto. E poi le cose si mescolano. A volte si mescolano anche fra loro, le due avanguardie artistiche. Alain Robbe-Grillet ne è un esempio: esordisce nel 53 con un romanzo dirompente e sette anni più tardi, nel 60, scrive la sceneggiatura di L'anno scorso a Marienbad, film altrettanto dirompente (e poi ci saranno le sue, di regie). Fin da Le gomme si delinea il suo stile narrativo: un rebus, una spirale, un gioco a incastri che si rivela molto più profondo della sua superficie: Le gomme gioca, gioca come un testo tipico del postmoderno, gioca alla letteratura di genere, alla suspence poliziesca. Eppure è un libro sul tempo, sull'esistenza, sulle occasioni mancate e su quelli che Freud chiamerebbe lapsus o, per altri versi, appunto, atti mancati. La scrittura segue la realtà, dunque, e non viceversa: e la realtà è circolare, s'intreccia, sbanda, confonde i tempi e i luoghi (della scrittura: dei tempi verbali, delle focalizzazioni sui personaggi). Resta un piccolo oggetto d'uso quotidiano, una gomma da cancellare: e in essa tutto si capovolge. Come spesso accade, nella vita.
Recensioni
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Dopo anni di oblio torna in libreria Le gomme (1953), pubblicato con la traduzione di Franco Lucentini e un saggio illuminante di Roland Barthes (...). Personalmente l’attesa era altissima perché il libro pareva scomparso. E ora, invece, eccolo di nuovo qui, nelle sue trecento enigmatiche pagine. Misteriose come l’intreccio poliziesco ordito dal suo autore: un omicidio politico in una città di provincia, l’investigatore Wallas chiamato a indagare, un cadavere che torna vivo e di nuovo cadavere e poi i doppi, il complotto, le erranze, la bassa temperatura emotiva dei personaggi. Dalla narrazione è bandita ogni spiegazione psicologica, permangono soltanto vaghe descrizioni di desideri, pulsioni. La visione di Robbe-Grillet è slogata, priva di giudizio, frantumata da un tempo ellittico, nel quale le cose non accadono lungo una linea retta, ma tornano ad accadere secondo un meccanismo circolare che ha fatto scuola, anzitutto in campo cinematografico (...). E il cinema non poteva che essere l’approdo naturale dello scrittore, che diede vita con il regista della nouvelle vague Alain Resnais a L’anno scorso a Marienbad, 1961, film di culto in tutto il mondo e anticamera di Robbe-Grillet per l’esperienza alla macchina da presa. Anche Resnais fu un abile demiurgo di tempi narrativi, battiti che misurano un’aritmia nella scansione tradizionale del racconto. Lo sguardo che nelle Gomme – una riscrittura della tragedia sofoclea dell’Edipo re, sebbene gli indizi dell’omaggio siano grandemente dissimulati – orienta la visione è un cineocchio soggettivo, che, riprendendo il Barthes del saggio conclusivo, ricostruisce l’esperienza di un camminatore anonimo in una metropoli. La poetica del romanzo, allora, diviene quella di una “cosalità” che annulla ogni campo metaforico dall’aura degli oggetti, delle cose (com’era stato Baudelaire in poi, naturalismo e verismo compresi), per ribadire il suo “esserci”, quello che Milan Kundera chiama, citando Beethoven, Es muss sein: un “deve essere” dell’oggetto. Gli eventi accadono, liberi dai vincoli di causalità, ogni lettura allegorica è bandita. Gli oggetti si raffreddano sul banco obitoriale. Eppure, più che al cinema Le gomme fa pensare a un’installazione: ha la stessa spettrale veggenza, l’estetica digitale, per la quale sequenze del racconto si presentano in maniera discreta e discontinua: è come se fossimo in presenza di un relè che scatta da on a off in continuazione. Così, citando Wagner, “il tempo si fa spazio”. A più di sessant’anni dalla sua uscita Le gomme continuano a essere una sorta di oggetto totemico della letteratura, inquietantemente superficiale, evidente, necessario. Enigmatico come la lucentezza di un diamante perfetto.
Recensione di Filippo Polenchi
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