Il genere cinematografico dei kaiju (letteralmente, "strana bestia") presenta una serie di temi che vanno ben oltre il motivo dei "grandi mostri che calpestano le città". A partire da "King Kong" (1933) e dall'archetipo "Godzilla" (1954), padre putativo di tutti i mostri a venire, il kaiju ha trovato materiale in scienza, militarismo, capitalismo, colonialismo, consumismo ed ecologia. Quest'analisi critica dei kaiju prende in considerazione l'interezza del genere, dalle pellicole più famose ai film meno noti come Kronos. "Conquistatore dell'universo" (1957), "Monsters" (2010) e "Pacific Rim" (2013). Jason Barr esamina come il kaiju abbia attraversato le varie culture, dalle sue originali ispirazioni folcloristiche in Giappone e negli Stati Uniti, e come il genere continui a riflettere i valori nazionali veicolati per il pubblico di massa. L'autore tenta di ridefinire ciò che costituisce un film kaiju e suggerisce che si tratta di un fenomeno spesso erroneamente identificato come fantascienza. La sua esplorazione approfondisce le radici della cultura e del folclore giapponesi e mette in evidenza elementi chiave che hanno influenzato la struttura e il formato del genere kaiju, tra cui gli yókai (creature del folclore), e le forme tradizionali del teatro bunraku, kabuki e No. Capitolo per capitolo, "Godzilla" e altri kaiju sottolinea come le storie, i mostri e le persone nei film rispecchino un assortimento di preoccupazioni rappresentative delle diverse epoche, incluse le conseguenze della guerra nucleare, i disastri naturali e atomici, il terrorismo, l'inquinamento, la politica globale e delle varie nazioni, lo sviluppo industriale, il colonialismo, i progressi scientifici con i loro pericoli e la presa di potere dei militari.)
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