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Arriva finalmente in edizione italiana un contributo decisivo del dibattito sulla globalizzazione, scritto da due figure di punta della storiografia economica internazionale, che mettono efficacemente in discussione la tendenza degli economisti a trattare "il fenomeno come se fosse unico della loro epoca". Prendendo come punto di riferimento i processi di reale "convergenza economica" (intesa come convergenza dei prezzi e non semplice espansione degli scambi), gli autori rifiutano sia l'appiattimento sulle fasi più recenti, sia la tendenza opposta a ricondurre il fenomeno all'età delle grandi scoperte geografiche. Secondo loro le radici della globalizzazione si collocano invece negli anni venti dell'Ottocento, con una prima piena manifestazione a cavallo fra Otto e Novecento, nell'età delle grandi migrazioni. Queste ultime occupano un ruolo centrale nella ricostruzione proposta dal libro, che ne sottolinea la funzione svolta nei processi di "convergenza", con effetti di "equalizzazione" dei fattori produttivi e di riduzione delle disuguaglianze fra Vecchio e Nuovo mondo. Meno convincente è però la conclusione, secondo cui "non c'è nessuna evidenza di razzismo e xenofobia nel determinare la politica dell'immigrazione nei paesi del Nuovo mondo", ovvero le politiche restrizioniste, in fatto di immigrazione, del periodo fra le due guerre. In questo caso il volume sembra scontare un mancato confronto con la letteratura storiografica sulle migrazioni, dalla quale risulta invece il ruolo del pregiudizio culturale e razziale nella definizione di tale politiche.
Ferdinando Fasce
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