Secondo il recente Dlgs. n. 150/2022 ("Riforma Cartabia"), è giustizia riparativa qualsiasi programma che consenta alla vittima, alla persona indicata come autore del reato e ad altre persone appartenenti alla comunità di partecipare liberamente e attivamente, alla risoluzione delle conseguenze prodotte dal reato, con l'aiuto di mediatori. Nel descrivere i soggetti appartenenti alla comunità, il legislatore fa riferimento ai familiari della vittima e dell'autore del reato, alle persone provenienti da associazioni che rappresentano gli interessi lesi dal reato, ai rappresentanti delle autorità locali, dello Stato e delle Regioni, e, più in generale, a chiunque vi abbia interesse (art. 45, lett. c) e d). È evidente che il concetto di comunità che risulta dal testo normativo non coincide con l'idea tradizionale di una comunità locale vicina alle persone coinvolte. Sembra, invece, che i programmi di giustizia riparativa siano un'occasione per costruire una nuova comunità, una "comunità di comunicazione", che abbracci tutti coloro che partecipano al percorso riparativo. Come insegna Apel, la comunicazione è lo strumento attraverso il quale abbassare e rimuovere i muri di incomprensione tra gli esseri umani. Condividere uno spazio etico insieme ad altre persone fornisce un ambiente che permette agli individui di rivelarsi ed esprimere, piuttosto che reprimere, l'esperienza vissuta per quanto traumatica. Questo non significa misconoscere l'importanza del coinvolgimento della c.d. "comunità di cura", ma, nel caso in cui il programma riparativo non preveda la presenza di familiari e di persone vicine alle parti (v. ad es. la victim-offender mediation), gli incontri tra quest'ultime con i mediatori permetteranno loro di dare vita ad una nuova comunità fondata sulla comunicazione.
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