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A leggere il breve stralcio riportato nella quarta di copertina si sarebbe indotti a credere che I giorni dello sgomento sia uno dei non pochi romanzi aventi per tema la resistenza e di ciò non ci sarebbe da meravigliarsi, attesa l’attitudine di Fiorella Borin che del romanzo storico ha fatto il suo pane. E invece, mano a mano che scorrono le pagine, ci si accorge che, pur nell’ambientazione storica di quel tragico periodo italiano, l’opera presenta caratteristiche diverse. Senza rinnegare i valori della resistenza, di questa guerra civile che insanguinò per quasi due anni il nostro paese, il romanzo affronta una tematica molto più ampia e, purtroppo, sempre di attualità: l’insensatezza della guerra. Non ci sono eroi, ci sono solo esseri umani con le loro paure, ma anche con la loro dignità, ci sono quei sentimenti sempre presenti, che magari si rafforzano in tempo di guerra, quali l’amore e l’amicizia. Sono umili della cui umiltà fanno la loro bandiera, persone come tante che incontriamo durante la vita e di cui nemmeno ci accorgiamo. Le figure di questi tre reduci dalla disastrosa campagna di Russia, accolti freddamente dalla gente del loro paese in quanto sconfitti, danno la giusta misura dell’impotenza di ogni uomo di fronte a qualcosa di troppo grande per lui e che non potrà mai capire; i tre sono sgomenti, ma quel che sanno è che l’amicizia è più forte di ogni astio e di ogni odio e che la guerra, che li ha offesi fisicamente e moralmente, è un’orrenda realtà con cui misurarsi ogni giorno. I giorni dello sgomento, proprio per la sua atipicità, per la pacatezza che si alza dalle righe, per il messaggio universale che porta è un romanzo che merita di essere letto.
Recensioni
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La Seconda Guerra mondiale, la Resistenza, la Campagna di Russia, il dramma di un bambino, mariti e mogli che vivono l’angoscia delle armi e dell’abbandono. Sono gli elementi di una storia che conosciamo bene, di una vicenda che, però, ci sembra lontana; eppure, soffermandoci su quanto sta avvenendo, dobbiamo ammettere che ancora non abbiamo imparato la lezione.
Senza le guerre la storia sarebbe un libro dalle pagine bianche. Triste, ma vero. Cos’è quindi l’uomo: un animale fatto e pensato per il campo di battaglia o un essere dedito al progressivo miglioramento delle sue condizioni? Non voglio imbattermi in disquisizioni filosofiche; il libro di Fiorella Borin, infatti, ci chiede di partecipare, attraverso la lettura, alle vicende di un bambino e di un padre.
C’è Cesare, soldato mandato in Russia a combattere più contro il freddo, che contro i bolscevichi. È uno dei pochissimi sopravvissuti a questa disfatta annunciata, ma a casa riporta ricordi terribili. C’è Luigino, figlio stravolto da vicissitudini che non riesce a comprendere. Infatti, la guerra e la morte non appartengono al mondo dei bambini. Eppure, Luigino, deve fare i conti con queste presenze che hanno invaso il suo tempo. Ma lui non è come tutti gli altri, non viene plagiato dall’ideologia fascista. A scuola scrive temi anticonformisti, zeppi di parole rivoluzionarie. La maestra lo punisce, ma a lui non importa. Resiste con l’unica arma che ha a disposizione: il pensiero. Ci sono Nevio e Stefano, con le loro storie di amore; c’è Tonio, un buono che ha un angelo custode particolare: il suo cane. Ci sono donne che trasformano la speranza in una dolce disperazione.
La storia si svolge in un paesino italiano al confine con la Jugoslavia. Prima la Guerra civile tra repubblichini e partigiani, poi, la pulizia etnica ad opera dei titini danno il colpo di grazia. La Borin condensa tutto in centocinquanta pagine. In alcuni momenti usa una scrittura lucida e telegrafica, in altri, dilaniante. Le parole vengono caricate di emozioni contrastanti e nel loro scontrarsi danno vita a una prosa penetrante.
La scrittrice veneziana lascia giudicare ai suoi personaggi gli eventi. In questo romanzo non ci sono né buoni, né cattivi, ma destini diversi che si intrecciano sul grande palco della violenza insensata. Il secondo conflitto mondiale, ossia, la Guerra totale, non è solo una battaglia che incendia ogni luogo, ma una lotta in cui si scontrano ideologie e anime. Da questo caos nascerà l’uomo nuovo?
Saranno i nostri figli e i nostri nipoti a riempire quella pagina bianca, e a metterci tutte le parole del mondo tranne una. La parola guerra. È ciò che spera il reduce Cesare, sopravvissuto al gelo russo, alla Guerra civile e alle epurazioni di Tito. È ciò in cui tanti hanno sperato, ma che ancora non si è avverato. La guerra è sempre tra noi. Bisogna credere nel futuro?
Recensione di Martino Ciano
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