In questo romanzo, scorrevole alla lettura e dallo spunto narrativo assai originale, l’autore rivela uno spirito libero ed anarchico, un animo sempre pervaso dal sentimento, mai dominato però dal sentimentalismo, anche se il racconto nel suo lungo dipanarsi diviene sempre più intimista. Il protagonista principale se all’inizio, adolescente, guarda con curiosità ai propri sentimenti, in sèguito, nell’età più matura, tenta di sviscerarli con un occhio critico e severo, mai indulgente però né con gli altri né tantomeno con sé medesimo. Nel ripercorrere gli anni della guerra e poi quelli, colmi di aspettative forse troppo pretenziose, degli anni della ricostruzione e della rinascita, fino a quelli del cosiddetto “miracolo economico”, l’autore mostra di credere in ciò che vede: il problema vero è quindi vedere, non credere, il che mette in rilievo anche un sano spiritualismo materialista. E’ per questo che gli antichi classici lo affascinano ancora. Sa che il pensiero dei padri non ha esaurito la sua funzione, anzi ha ancora molto da dire, sa che i padri al centro delle loro idee ponevano l’uomo, non certo gli effimeri dèi e con ciò rivela la sua modernità: nell’esaltazione della fisicità, anche quando questa, solo in apparenza in modo contraddittorio, guarda al mondo delle idee e dei sentimenti.
Antonio Delfini (1940) nato a Roma, è veneto d’adozione essendosi trasferito per motivi professionali negli anni ’60 a Treviso, dove ancora risiede. In netto contrasto con la sua attività lavorativa ha sempre coltivato interesse per gli studi classici e per la letteratura italiana, dedicandosi altresì alla germanistica ed alla letteratura mitteleuropea. Profondo appassionato di musica classica. Dei suoi lavori questo è il primo dato alle stampe. )
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