Il centenario di Giancarlo De Carlo (Genova, 1919 - Milano, 2005) ha visto tutte le maggiori città italiane (Genova, Milano, Pavia, Venezia, Roma, Ancona, Pescara, Napoli, Palermo) organizzare convegni e cerimonie in suo onore, quasi a restituirgli un'attenzione che, specialmente nei suoi ultimi anni di vita, gli era stata troppo avaramente concessa. Eppure questo fiorire di riflessioni rimarca quanto la sua opera fosse ben presente anche agli occhi di chi dissentiva da lui al punto da ignorarlo volutamente: il rapporto dialettico sia verso il ceto politico sia verso le aspettative dell'uomo della strada, quello distaccato verso l'università (che lo spinse a testare nuove forme di insegnamento itinerante come l'ILAUD), il lavoro di fredda interrogazione della storia e di ridefinizione del ruolo dell'architetto, la sua visione al contempo cosmopolita e vernacolare, la fede nell'unità progettuale tra architettura e urbanistica, ovvero tra città e territorio - tutto ciò è oggi un patrimonio comune della cultura architettonica non solo italiana. Questo volume lo testimonia, chiudendo il cerchio delle celebrazioni proprio in quella Sicilia in cui la famiglia di De Carlo affonda le proprie radici. Introdotto da una riflessione di Antonietta Iolanda Lima, il libro affronta le ragioni dell'autorevolezza e dell'attualità del lascito intellettuale e materiale dell'architetto genovese, con un approfondimento sul contesto etneo, ed è per questo diviso in due parti. La prima, "Perché una architettura sia credibile", è di carattere più generale, mentre la seconda è dedicata alla città in cui De Carlo ha vissuto un'esperienza analoga a quella di Urbino: Catania. "Come ridare coerenza e senso agli spazi della vita".
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