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Il catalogo accompagna la mostra omonima (Roma, Parco archeologico del Colosseo, 14 dicembre 2021 – 30 aprile 2022) incentrata sulla figura di uno dei più importanti archeologi italiani tra XIX e XX secolo: Giacomo Boni (1859-1925).
Numerosi saggi delineano la poliedrica e moderna personalità di Boni, facendo il punto sulla ricezione e l'eredità della sua figura e ripercorrendo anche il contesto politico, culturale e artistico nel quale è cresciuto e si è affermato. Autodidatta, con una formazione di disegnatore e attivo in cantieri veneziani, Giacomo Boni col tempo diviene archeologo e architetto sviluppando metodi innovativi di scavo - a cominciare da quello stratigrafico -, di restauro e di valorizzazione. Già in giovane età, il credito acquisito presso eminenti figure della cultura anglosassone, a cominciare da John Ruskin e William Morris, le amicizie veneziane e milanesi - in particolare Primo Levi e Alberto Carlo Pisani Dossi - e, grazie a quelle, l'ingresso nei circoli intellettuali sostenitori di Francesco Crispi lo portano a Roma. In un contesto culturale in cui si intrecciano la passione per l'archeologia e l'interesse per la contemporanea arte inglese, risulta incoraggiata dall'operato di Boni una nuova visione dell'Antico che l'arte simbolista porta al pieno sviluppo all'inizio del Novecento. Tra le sue scoperte, condotte ricorrendo a un linguaggio nuovo, non accademico, e alla fotografia, si ricordano in particolare il Tempio di Vesta, il complesso della fonte sacra di Giuturna e la chiesa medievale di Santa Maria Antiqua, con il ciclo pittorico bizantino. Per il Palatino, Boni approfondisce i temi della flora, interesse che lo accompagna tutta la vita, di cui resta traccia nell'ordinamento del giardino degli Horti farnesiani e in quel roseto che porta ancora il suo nome e dove è sepolto. Come evidenziano sia la mostra sia il catalogo, il progetto museografico realizzato da Boni in quegli anni per il Foro Romano e il Palatino è il risultato di una molteplicità di interessi e incontri, e si presenta straordinariamente attuale e innovativo: forse il primo esperimento di parco archeologico in cui natura, resti antichi, ricostruzioni filologiche, rievocazioni e divulgazione tendono a fondersi in armonia.
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