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Nella storia del capitalismo italiano Giacinto Motta costituisce una figura eccentrica: nel perdurante dominio del capitalismo familiare, nell'incompiutezza dell'evoluzione verso più avanzate forme di organizzazione societaria basate sulla separazione tra proprietà e controllo, Motta ha a lungo rappresentato un caso tra i più rilevanti di manager alla testa di un colosso industriale. Laureatosi in ingegneria al Politecnico di Milano sul finire dell'Ottocento, fu nel primo quindicennio del secolo successivo un libero professionista di grande successo ed enorme prestigio in campo elettrotecnico e docente al Politecnico, prima di essere chiamato nel 1916 alla Edison in qualità di direttore generale e poi di consigliere delegato, per divenirne infine, nel 1935, presidente. Imprenditore non proprietario, Motta rappresentò per altro un ideale anello di congiunzione tra la cultura tecnica che tra la fine dell'Ottocento e la prima guerra mondiale segnò profondamente la belle époque milanese e diede un contributo indiscusso all'industrializzazione italiana e alla grande impresa, che di quell'industrializzazione fu protagonista assoluta.
Sugli anni della formazione e sulla lunga e poliedrica attività professionale di Motta si sofferma ampiamente la bella biografia di Luciano Segreto, che ha potuto servirsi per la prima volta del ricco archivio privato dell'imprenditore. A occupare magna pars del volume sono naturalmente i lunghi anni alla guida della Edison, che collocarono Motta "alla testa del capitalismo italiano". Le vicende biografiche si intrecciano perciò strettamente, nella ricostruzione di Segreto, a quelle societarie e, indirettamente, a quelle dell'intera industria elettrica italiana. Al tempo stesso il volume di Segreto costituisce un prezioso contributo all'assai dibattuto tema del rapporto tra fascismo ed élite economiche.
Attivo politicamente sin dagli anni precedenti la guerra nelle file dell'Unione liberale democratica e poi, nel dopoguerra, su posizioni liberalconservatrici, Motta si avvicinò, a partire dal 1922, al fascismo e prese poi parte attiva alla vita politica del regime, pur non senza momenti di forte contrasto con Mussolini. A fronte del disorientamento prodotto dal biennio rosso e dall'avanzata dei socialisti e delle organizzazioni operaie, Motta vide nelle camice nere il male minore, l'unico rimedio contro il dilagare dei "sovversivi". Giunto al potere, il fascismo divenne, ai suoi occhi, la forza politica in grado non solo di ripristinare l'ordine, ma anche di interpretare al meglio le esigenze delle imprese e di realizzare una politica economica a esse favorevole, prima con le misure liberiste e poi, con qualche contrasto in più, con un intervento pubblico particolarmente attento agli interessi dei privati ("non siamo noi che appoggiamo Mussolini", scrisse in una lettera del 1924, ma "fu lui ad appoggiare le nostre idee"). Si trattò di un percorso comunque mai pienamente lineare, non privo di tensioni e contraddizioni, e, fatta salva la peculiarità del personaggio, comune alla grande maggioranza dei maggiori esponenti delle élite industriali e finanziarie italiane; un percorso che Segreto indaga facendo risaltare, accanto alle scelte e alle decisioni, le complesse motivazioni e i tormenti che spesso le precedettero e le accompagnarono.
Alessio Gagliardi
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